Dopo l’avvento del fascismo Piero Calamandrei, docente di diritto processuale civile e avvocato, partecipò alla breve stagione (1925) del Non mollare rivista di Carlo Rosselli, Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi, soffocata dalle leggi fasciste sulla stampa. Si ritirò da fine giurista riprendendo le pandette e i codicilli nella sua università fiorentina; tuttavia, mantenendo le segrete amicizie e disegni di Giustizia e Libertà. Partecipò alle riunioni clandestine che sancirono la rinascita del mazziniano Partito d’Azione a Roma nel 1942. Fu soprattutto costituente della nuova Carta repubblicana, cantore della epopea resistenziale dopo il 1945 e propugnatore, con Parri e Valiani, della Fiap nata nel 1949. Calamandrei  nel periodo bellico, tra il 1939 e il 1945, tenne un Diariosegreto rischiando il carcere duro per i suoi scritti. Sono annotazioni di getto della vita di quegli anni. In alcuni momenti la cronaca raggiunge formidabili vette letterarie.

   Sullo sbarco in Sicilia degli anglo-americani non enfatizza.

13 luglio 1943: «A Roma dove fui il 9 scorso, c’era una tragica aria di stasi, di ignavia e di incoscienza. Nessuno credeva più all’invasione, ma la mattina del 10 a Firenze alle 7.30 ho avuto dalla radio inglese, la prima notizia». Il professore di Firenze prudentemente allude. Nei giorni precedenti, secondo lo stesso, correvano voci da Bruxelles che Elisabetta, (la regina madre del Belgio, mamma di Maria José consorte di Umberto principe di Napoli) avesse parlato di una pace separata dell’Italia. Il colpo di Stato della Corona e di Badoglio per deporre Benito Mussolini era pronto da mesi. Lasciamo agli storici militari la cronaca dello sbarco e gli intrecci opachi: servizi segreti americani   e rapporti con Cosa Nostra. Una invasione prevedibile dopo le disfatte militare della Germania e dell’Italia in Africa e in Russia e il controllo consolidato dello spazio aereo e marino di quasi tutto il Mediterraneo da parte degli anglo-americani. Piero Calamandrei quel 13 luglio si sofferma ad osservare un gruppo di militari tedeschi di stanza a Firenze descrivendoli con una ironia e amarezza, entrando nella psicologia del totalitarismo con uno stile letterario formidabile.

   «…La sera siamo venuti qui: si sperava che i tedeschi fossero partiti: c’erano sempre… Accampamenti puliti e tranquilli, gente disciplinatissima, biondi, tutti uguali, automi, la cosa più impressionante è il modo con cui li fanno cantare: quando marciano con equipaggiamento  di guerra o quando si avviano in mutandine da bagno verso il mare, o quando vanno colle gavette a prendere il rancio, cantano sempre, e sempre le stesse canzoni: che non sono canzoni d’amore  o di svago, ma canzoni  comandate, fatte per inchiodare nelle teste, venti volte al giorno, le stesse proposizioni guerresche e patriottiche, con una specie di pragmatismo magico che impedisce a quelle teste di pensare. I canti cominciano con due o tre comandi, secchi e rudi come scatti di leve: cra-cra-cra… Stamani un reparto in armi faceva esercitazioni… Facevano ordine chiuso e ordine sparso colla maschera antigas a proboscide: mostruosi, sotto gli elmi col viso a scheletro di gorilla. A un certo punto il plotone si è ricomposto, e colle maschere sul viso si sono messi in marcia per tornare all’accampamento, e il tenente, senza maschera lui, ha dato lo scatto del coro: cra-cra-cra. E allora si è sentito questo coro cantato dentro la maschera: lontano, funebre con quel tremolio metallico che hanno le musiche rimaste chiuse dentro una scatola. Uno spettacolo terribile questo corteo di scheletri che si allontanava cantando con voce remota, soffocata come quella dei fantasmi che viene da un altro mondo: questo è proprio il simbolo della marcia della Germania.  Io ho proprio la sensazione precisa di vedere il mio paese sotto l’occupazione straniera… Corrono velocissimi, senza tenere la mano, hanno ammazzato, dicono un soldato nostro: a Firenze un autocarro tedesco ha ammazzato un colonnello italiano che passava in bicicletta». Calamandrei intuisce che i nazisti non molleranno la presa. Un presentimento vista la segretezza del già programmato piano Alarico di Adolf Hitler.

    Il giurista fiorentino nelle analisi politiche e militari di quei giorni vede nel nemico (gli angloamericani) «un’aria di liberazione» dal fascismo. Intuisce che senza il popolo italiano in armi per la democrazia il riscatto non sarà mai completo.

 Calamandrei va oltre e vede profeticamente il futuro di uno stato liberale e democratico, chiama come protagonisti donne e uomini sul campo per una guerra patriottica di liberazione dallo straniero. Questo ultimo termine è inteso in senso lato «noi vivevamo dal 1922 sotto la dominazione straniera», scriverà giorni dopo sul suo Diario di guerra.

di Filippo Senatore

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