25 aprile 2024
In Italia si moltiplicano gli smemorati e coloro che, dai vertici della politica e delle istituzioni, tentano di ridimensionare il significato del 25 aprile e, con esso, della Resistenza, che fu una lotta plurale per la libertà.
Allora è necessario ricordare da dove è nata questa festa nazionale tutt’altro che “divisiva”, tranne che per i fascisti conclamati o per gli anti-antifascisti impegnati a riscrivere la storia del nostro paese.
Vittorio Foa, dirigente del Partito d’Azione e protagonista della Resistenza dopo aver trascorso 8 anni e 3 mesi nelle carceri fasciste, nel 1993 scriveva: «il revisionismo è indispensabile se aggiorna o cambia le interpretazioni, è intollerabile se nega i fatti. E il confine tra l’indispensabile e l’intollerabile talvolta si confonde». Ecco, ricordiamocelo sempre.
Ma quando e come nacque la festa della Liberazione? Nella primavera del 1946 De Gasperi, segretario della DC, presiedeva il suo primo governo sostenuto dalle sei forze politiche presenti nel Comitato di Liberazione Nazionale: socialisti, comunisti, azionisti, democristiani, liberali, demolaburisti. Facevano parte di quel governo figure come Nenni, Togliatti, La Malfa e Lombardi, primo prefetto di Milano dopo la Liberazione. Il 22 aprile ’46, su proposta di De Gasperi, fu emanato un decreto che, senza possibilità di equivoci, recitava: «A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale».
Perché quel giorno? Perché il 25 aprile 1945, proprio qui a Milano, fu impartito dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia l’ordine d’insurrezione generale, presenti Pertini per i socialisti, Valiani per il Partito d’Azione, Sereni per i comunisti, Arpesani per i liberali, Marazza per i democristiani.
Quel giorno il CLN Alta Italia fu delegato dal governo di Roma, presieduto da Bonomi, ad assumere i pieni poteri «civili e militari», esercitati dai CLN regionali e provinciali. In quella circostanza furono istituiti i consigli di gestione delle aziende e, in ogni provincia, i tribunali di guerra dal comando di zona del Corpo Volontari della Libertà, cioè l’organismo unitario di coordinamento per la direzione militare della lotta partigiana. Cadorna ne era il comandante, i vicecomandanti erano il comunista Longo e l’azionista Parri, capi delle formazioni garibaldine e gielliste, affiancati da Pertini per i socialisti, Mattei per i cattolici, Argenton per i liberali. Parri sarebbe stato poi il primo Presidente del Consiglio dopo la Liberazione.
L’ordine d’insurrezione impartito il 25 aprile rappresentò l’atto formale con cui i vertici politici antifascisti del Nord, riconosciuti da Roma come organo di governo nel CLN Alta Italia, fecero scattare la spallata finale alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini e agli occupanti tedeschi.
Il 25 aprile fu celebrato negli anni successivi, durante la delicata fase di passaggio dall’Italia fascista all’Italia democratica e repubblicana. Dal 27 maggio ’49, nella prima fase della Guerra fredda, con la legge 260 la ricorrenza fu istituzionalizzata stabilmente quale festa nazionale. Nel frattempo l’Italia era divenuta una Repubblica dopo il referendum del 2 giugno ’46, quando per la prima volta avevano votato le donne rendendo il suffragio davvero universale, ed era stata eletta l’Assemblea Costituente, presieduta prima da Saragat e poi da Terracini. Il 1° gennaio ’48, la Costituzione repubblicana era entrata in vigore e la democrazia italiana aveva iniziato il suo percorso, insieme difficile e appassionante.
Una democrazia rifiutata dal Movimento Sociale Italiano, nato nel dicembre ’46. Quel partito rivendicò fieramente le sue radici anti-democratiche e il legame con la Repubblica Sociale.
Ma si avvalse proprio del pluralismo che contestava per guadagnare spazio nella società e nelle istituzioni nel nome delle libertà di cui negava il valore, un autentico paradosso. Eppure ancor oggi i vecchi rappresentanti dell’MSI (o i suoi eredi dichiarati), che fanno politica sotto altre sigle, si lamentano se i loro colleghi in Parlamento (o i semplici cittadini e i giovani nelle piazze) ribadiscono la centralità delle radici della nostra Repubblica, cioè l’antifascismo.
Si definiscono patrioti e custodi dell’identità nazionale, ma continuano a manipolare la storia facendo propaganda e capovolgendo il significato di episodi centrali avvenuti durante la guerra, come la strage delle Fosse Ardeatine.
All’organizzazione di quella strage collaborarono attivamente i fascisti italiani indicando ai tedeschi decine di nomi di detenuti antifascisti ed ebrei, non solo italiani.
I 335 uomini trucidati, dunque, furono assassinati dai nazisti non semplicemente perché italiani, com’è stato ripetuto da qualcuno, ma perché antifascisti. E furono uccisi con l’aiuto di altri italiani, complici dei nazisti.
I difensori della nazione dall’occupazione tedesca, tra l’autunno ’43 e la Liberazione, furono i partigiani (più di 200.000 nell’aprile ’45), furono coloro che li aiutarono a sopravvivere rischiando la vita, furono i partiti politici antifascisti che rinacquero in Italia dal 1942. Ma non bisogna dimenticare gli oltre 600.000 Internati Militari Italiani (tra cui il futuro segretario del PCI Alessandro Natta), che si rifiutarono di combattere al fianco dei tedeschi e furono deportati nei campi di concentramento.
I difensori della nazione non furono i fascisti della Repubblica Sociale, un regime ben rappresentato dalla X Mas, dalla Legione Ettore Muti, da bande criminali come la Koch e la Carità, che torturavano e uccidevano senza pietà. La Repubblica di Salò non fu solo uno Stato fantoccio al servizio di Hitler, ma collaborò appieno con i nazisti nella repressione dei partigiani, nelle terrificanti stragi di civili inermi (Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Boves e molte altre) e nell’attuazione della Shoah. Le vittime civili delle stragi nazifasciste in Italia furono quasi 24.000; gli ebrei deportati nei campi di sterminio oltre 7.200. In seguito al rastrellamento del ghetto da parte delle SS, il 16 ottobre ’43, da Roma furono portate via 1259 persone (in maggioranza donne, 207 i bambini). I più finirono ad Auschwitz, si salvarono solo in 16.
La nostra Repubblica democratica, fondata sul lavoro, è nata dentro la guerra contro il nazifascismo, combattuta dai partigiani e dagli Alleati con enormi sacrifici. La Costituzione è stata scritta da tutte le forze antifasciste, unite per un ideale superiore anche nella fase iniziale della Guerra fredda: socialisti, comunisti, azionisti, cattolici, liberali, socialdemocratici, repubblicani.
Tra i componenti della Commissione dei 75 che redasse materialmente la Costituzione, voglio ricordare almeno Calamandrei e Basso, Dossetti e Moro, Nilde Iotti, Teresa Noce, Antonio Giolitti.
Il tessuto connettivo di un paese è solido solo se non sono messi in discussione i pilastri della sua storia. L’unità tra persone e forze politiche diverse tra di loro si basò, fin dall’inizio della Resistenza, sul comune riconoscimento dei valori antifascisti, su cui fu edificata una nuova idea di patria. Dopo l’8 settembre ’43 la patria non morì, ma iniziò a rinascere nel nome della libertà. Morì invece la patria fascista.
Durante il regime di Mussolini, ancor prima delle leggi razziali e dell’ingresso in guerra al fianco dei nazisti, qualcuno era dalla parte sbagliata e altri dalla parte giusta. Una scelta che molti, negli anni Venti e Trenta, pagarono con il carcere, il confino, l’esilio, la povertà, ma anche con la vita. Voglio qui ricordarne alcuni: Giacomo Matteotti, Carlo e Nello Rosselli, Antonio Gramsci. E ancora, don Minzoni, Giuseppe Di Vagno, Piero Gobetti, Giovanni Amendola.
L’antifascismo rimane la radice del nostro vivere civile. Chi non può dirsi antifascista perché si riconosce in altri tipi di eredità, è libero di farlo. Ma, così facendo, non riconosce l’alfabeto della democrazia italiana.
Il 25 aprile è dal 1946, prim’ancora del referendum istituzionale del 2 giugno, la festa di tutti. O almeno di tutti coloro che si riconoscono nell’Italia democratica liberata dal nazifascismo. Le ragioni della libertà, oggi come allora, sono da una parte sola: quella degli antifascisti. Buon 25 aprile, a tutte e a tutti!
Andrea Ricciardi, Storico e Direttore scientifico FIAP – Federazione Italiana Associazioni Partigiane