Le leggi speciali adottate dal Governo e dai vertici militari italiani tendenti, attraverso dure sanzioni penali, a reprimere ogni tentativo “disfattista” di protesta contro la guerra nel corso del primo conflitto mondiale, non frenano le agitazioni popolari che hanno quali protagoniste soprattutto le donne. È proprio sulle donne, infatti – madri e mogli dei soldati al fronte – che grava il peso di fronteggiare il sostentamento delle famiglie e dei figli in primo luogo, reso insostenibile dal vertiginoso aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e dalla stessa scarsità nel loro reperimento. Mancano il pane, il latte, la farina: alimenti indispensabili per la sopravvivenza.
Esasperate dalla fame, le donne – e i bambini – scenderanno nelle piazze rivendicando condizioni di vita più umane e la fine della guerra ritenuta, a ragione, cagione della drammatica situazione nella quale sono precipitate le famiglie meno abbienti. Già a partire dal gennaio 1916 agitazioni si verificano a Firenze e Mantova. Secondo un rapporto della Direzione di Pubblica Sicurezza, dal 1° dicembre 1916 al 17 aprile 1917, si rilevano almeno cinquecento manifestazioni, con la partecipazione di migliaia di donne. Sono noti i fatti che si svolgono a Zero Branco, nei pressi di Treviso, il 17 maggio 1916: un migliaio di donne tenta invano di irrompere in un locale dove è in pieno svolgimento una manifestazione patriottica, per contestarla. Ventiquattro di esse – tra le quali sette di minore età – saranno denunciate. In sede di interrogatorio, però, ribadiranno la loro ferma opposizione alla guerra.
La protesta antibellica proseguirà per tutto il 1917: in Campania se ne conteranno ventidue e in cinque comuni saranno assaliti e invasi ben cinque municipi. Il 15 giugno a San Gregorio Magno, in provincia di Caserta, la popolazione chiede al parroco di far uscire la processione di San Vito. Di fronte al rifiuto del sacerdote, motivato dal divieto governativo di dar corso a processioni in periodo di guerra, la folla, in gran parte composta da donne, sottrae le chiavi della chiesa al sagrestano e, impossessatisi della statua del santo, la portano in processione per le vie del paese. I carabinieri, che tentano di impedirlo, vengono presi a sassate. Incidenti anche a Sora – il 23 luglio – dove duecento contatine improvvisano una dimostrazione per la pace, invadono la sottoprefettura e malmenano il sottoprefetto. A Monte San Biagio, sempre nel casertano, duecento donne tentano di occupare il Municipio ma la polizia fa uso delle armi: una ragazza di vent’anni rimane uccisa dal fuoco della fucileria. Il 23 settembre è la volta di Orsara di Puglia, in provincia di Avellino: un migliaio di donne, fornite di accette, tagliano i fili del telegrafo e assalgono negozi e abitazioni, tra le quali quella dello stesso commissario di PS. Numerose vetrine sono infrante dalla fitta sassaiola.
Più gravi i fatti di Milano e quelli dell’agosto 1917 di Torino: qui, negli scontri con la polizia, sarà uccisa una cinquantina di operai – moltissime le donne – e duecento rimarranno feriti. I gravi tumulti di Torino scoppiano il 22 agosto 1917; all’origine dallo sciopero di protesta indetto in alcune fabbriche contro la guerra, l’aumento del costo della vita e la mancanza del pane.
La reazione poliziesca è dura: a sera, il bilancio degli scontri è di sette operai morti e 37 feriti. I meno gravi, si sono però guardati bene dal rivolgersi agli ospedali. Negli scontri, che hanno opposto le forze operaie e la cavalleria, ha perso la vita anche un sottotenente. La polizia, nella sola giornata del 23 agosto, arresta oltre duecento manifestanti. Tra essi, moltissime donne. Alcune note, come la direttrice de “Il Grido del Popolo”, Maria Giudice; il suo posto sarà preso da Antonio Gramsci. E poi Rita Montagnana e Teresa Noce. Ma ci sono anche, non meno battagliere, Lidia e Preziosa Cavallo. Sono due sorelle di una famiglia di Latiano, un centro agricolo della provincia di Lecce, trasferitasi a Torino alla ricerca di condizioni di vita più umane.
Manifestazioni pacifiste guidate dalle donne si svilupperanno sull’intero territorio nazionale ma, in particolare, in Sicilia. Nella regione insulare non saranno influenzate dalla propaganda socialista ma avranno un carattere spontaneista e saranno sempre poste in essere dalle donne. A confermarlo, è una relazione del ministero dell’Interno relativa all’ordine pubblico, datata 20 maggio 1917. In essa si può leggere, per quanto riguarda la Sicilia che:
Dimostrazioni contro la guerra si ebbero in numerosi comuni di tutte le provincie della Sicilia. Trattasi però di moti spontanei, improvvisi, ai quali pare sia estranea l’opera dei partiti estremi – leggasi Partito Socialista Italiano, n.d.r. – dovuti al disagio prodotto dal prolungarsi della guerra e del caro viveri. Il Partito Socialista ha tentato di fare in Sicilia la sua propaganda a mezzo di opuscoli e manifesti, ma con scarsi risultati.
In realtà la propaganda socialista – che il Ministro tende a ridimensionare – alimenta comunque la protesta esercitando quindi una certa influenza sui moti contro la guerra. Le prime agitazioni che coinvolgeranno l’isola partiranno già nel 1915 da Collesano e Delia: in quest’ultimo centro le organizzatrici della protesta saranno arrestate e condannate per “disfattismo”. L’anno dopo, nel gennaio, la protesta prosegue a Canicattì, Palma di Montechiaro, San Cataldo, Santa Margherita Belice e Sciacca: le dimostrazioni si concludono quasi sempre con l’arresto e la condanna, anche a multe pecuniarie, delle donne alla testa della rivolta. Ma la repressione, anziché infiacchire i moti, li alimenta. La protesta dilaga ad Alcamo, Cammarata, Paternò e Raffadali. A Carlentini il sindaco del paese, impaurito dal corteo delle manifestanti, muore d’infarto.
Nel 1917 una nuova ondata di ribellioni ancora a Cammarata, Aragona e Menfi, dove le donne si stendono sui binari della ferrovia per impedire la partenza delle giovani reclute. A Lucca Sicula circa quattrocento donne si raccolgono nella piazzetta antistante il Municipio, sventolando una bandiera bianca. La bandiera verrà sequestrata dalle forze dell’ordine, accorse in gran numero, che procederanno a numerosi arresti.
Ancora manifestazioni contro la guerra a Bagheria, Campobello, Castellana Sicula, Castelbuono, Licata, Naro, Piana degli Albanesi, Ravanusa e Termini Imerese. Non mancano le azioni che degenerano in violenza: a Ganci, grosso comune del palermitano, il 15 aprile del 1917, al grido di “abbasso la guerra”, dal corteo delle donne parte una fitta sassaiola contro un gruppo di insegnanti interventisti. A Castroreale una dimostrante prende a schiaffi un carabiniere, mentre a Caltanissetta le donne fanno uscire le scolaresche dalle aule per farle partecipare al corteo pacifista.
Fermenti di ribellione contro la guerra sono presenti in tutta la Sicilia: a Barcellona Pozzo di Gotto sono almeno quattromila le donne che sfilano per le vie del paese; cinquecento, invece, a Paceco. Ed ancora, manifestazioni ad Aci Trezza, Aci Catena, Caltagirone, Catania, Casteltermini, Cianciano, Leonforte, Licodia Eubea, Milena, Montalbano Elicona, Mussomeli, Ribera, San Michele di Ganzaria, San Fratello.
Nel maggio 1918 gli ultimi sussulti. Agitazioni in favore della pace ad Agrigento, Licata e San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, dove le donne, salite sul campanile della chiesa, fanno suonare a distesa le campane.
di Mario Gianfrate