Marco Cuzzi, Seicento giorni di terrore a Milano. Vita quotidiana ai tempi di Salò, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2022
Seicento giorni di terrore a Milano di Marco Cuzzi è un libro importante e necessario. È anche, forse proprio perché necessario, un libro molto bello.
La Milano dei tempi di guerra è stata raccontata molte volte, attraverso le immagini, i film, le cronache. C’è una memoria diffusa che la città stessa alimenta e a un osservatore attento non sfuggono gli infiniti rimandi che le strade e i palazzi conservano: è una “topografia della memoria” discreta ma impossibile da ignorare, che attraversa la città, dal centro devastato dalle bombe (Palazzo Reale, il Duomo, la Galleria, la Scala), ai luoghi che conservano le tracce più cupe e torbide: piazzale Loreto, Villa Triste, via Rovello, solo per citarne alcuni. Vi è anche una trama più sottile, fatta di ricordi, di racconti puntuali e nel contempo pieni di pudore di chi è vissuto in città, che non ha voluto – o potuto – soffermarsi sui dettagli più terribili, in una sorta di riserbo nei confronti del terrore, della paura, di ciò che di impronunciabile vi è stato negli anni di guerra. La storia della Milano di Salò è quindi conosciuta ma, per molto tempo, di questo magma ribollente di avvenimenti, personaggi, scelte politiche e individuali, si è faticato ad afferrare l’interezza e la profondità. La stessa difficoltà, si potrebbe dire, ha incontrato la ricerca storica che ha indagato su molti aspetti della pagina milanese della Repubblica Sociale senza giungere, però, a uno sguardo d’insieme così completo e profondo come quello che ci offre Cuzzi in questo libro.
Un lavoro, dunque, che riempiendo finalmente un vuoto nella storiografia cittadina e nazionale, delinea un quadro preciso delle vicende milanesi tra il settembre 1943 e l’aprile 1945: i seicento giorni, appunto, dall’arrivo delle truppe tedesche a Milano (11 settembre) alla fine convulsa della Repubblica Sociale con la fuga di Mussolini e dei gerarchi verso Como e la Svizzera. In questo periodo si dipana la vita quotidiana dei milanesi tra l’occupazione nazista, i tentativi di ricostruzione di una parvenza di ordine statuale da parte della RSI, il caos oggettivo tra le fila fasciste e la brutalità delle bande più violente, la nascita e lo sviluppo della Resistenza, le deportazioni, i bombardamenti alleati. L’autore ci accompagna per la città con un racconto dettagliato, puntuale, dal quale emerge con chiarezza il ruolo fondamentale di Milano nella fase terminale del fascismo. Cuzzi ricostruisce ed esplora questa Milano nota, ma poco indagata nella sua interezza, grazie a un capillare lavoro che combina ricerca archivistica, ampio uso di fonti memorialistiche e bibliografiche e il recupero di molta produzione storiografica che qui trova una sintesi di spessore.
È impossibile riassumere in poche pagine gli avvenimenti di quei mesi; è opportuno però richiamare alcuni temi fondamentali. Il primo e più evidente è la militarizzazione della città, ovvia conseguenza della presa di possesso tedesca del territorio milanese con l’arrivo delle SS; ai comandi e alle truppe naziste si affiancano ben presto quelli del neocostituito esercito repubblicano, comandato da Rodolfo Graziani, Ministro della Difesa della RSI, criminale di guerra, condannato a 19 anni di carcere per collaborazionismo nel 1949, ma presto liberato e divenuto poi presidente onorario dell’MSI. Già negli ultimi mesi del 1943, tuttavia, si assiste da parte italiana a una proliferazione di divise, polizie, bande che sfuggono ai tentativi delle autorità cittadine di porle sotto un unico controllo e che, soprattutto per quanto riguarda l’ordine pubblico e la repressione della Resistenza, agiscono molto spesso come braccio operativo dei tedeschi. Se questi stabiliscono il loro comando all’hotel Regina, rendendolo un bunker inaccessibile e più in generale blindando la città con regole ferree, per quanto riguarda le forze fasciste non si contano le sedi di reparti militari, gruppi rionali, milizie, bande di torturatori (le Brigate Nere, la Legione Muti, le SS italiane, la Decima Mas, la banda Koch); di fatto, non c’è zona della città che non sia controllata e presidiata da uomini in divisa. I tedeschi non vedono di buon occhio il caos che sembra dominare il campo fascista ma utilizzano tutte queste forze per le loro finalità: repressione, lavoro forzato, rastrellamenti, deportazioni, spoliazione e trasferimento della produzione industriale in Germania. Non hanno alcuno scrupolo nell’attuare le direttive dell’occupazione già sperimentate nel resto dell’Europa occupata: Milano è letteralmente saccheggiata di beni di ogni genere. In questo delinearsi delle forze in campo ci sono però delle eccezioni, soprattutto per quanto riguarda il “posizionamento” di una parte della Polizia repubblicana, dei Carabinieri (molti di loro saranno deportati) e, soprattutto, della 3° Legione della Guardia di Finanza, “vero e proprio corpo militare resistenziale infiltrato e coperto sin dal novembre 1943” (p. 65), che avrà un ruolo di rilievo nelle ore della liberazione di Milano.
Per quanto riguarda il fascismo milanese, è evidente una “spaccatura” all’interno del partito: se da un lato la Repubblica Sociale riporta in auge idee e personaggi delle origini, con una carica di estremismo e desiderio di vendetta che in parte forse ne spiegano la brutalità, dall’altro ci sono personalità che tentano di dare credibilità alle istituzioni della neonata repubblica, provando a costruire una parvenza di autorità statale che non si limiti ad eseguire gli ordini tedeschi. Da parte degli amministratori (i podestà, i prefetti) c’è anche la necessità di prestare attenzione alle esigenze della popolazione.
Fin dai primi mesi dell’occupazione nazista l’antifascismo milanese si organizza – nonostante sia chiaro sin dall’inizio che la Resistenza in città ha anime e posizioni tra di loro molto diverse – e porta a termine alcune azioni particolarmente efficaci (l’uccisione del federale Resega). Ma la repressione smantella velocemente questi primi gruppi. A partire dalla primavera del 1944 si assiste invece al consolidarsi della Resistenza cittadina (con la rinascita dei Gap e la costituzione delle Sap) e alla creazione di strutture articolate che agiscono in modo coordinato grazie alla formazione del CLNAI. In città la repressione colpisce duramente, con delazioni, arresti, fucilazioni, giustizia sommaria, rappresaglie, rastrellamenti. La tortura è praticata abitualmente dalla Muti, dalla banda Koch, dagli aguzzini tedeschi e italiani nel carcere di San Vittore, in una discesa aberrante nella brutalità incontrollata, dove non c’è distinzione tra nazisti cattivi e ipotetici italiani “buoni”. San Vittore, che avrà un braccio sotto il controllo diretto tedesco, oltre ad essere il luogo dei prigionieri politici, viene trasformato in un vero e proprio judenlager dove transitano gli ebrei residenti a Milano prima di essere deportati e uccisi nei campi tedeschi. Alle proteste operaie del marzo del 1944 si risponderà con fucilazioni e deportazioni e poiché il controllo della produzione è vitale sia per i tedeschi (per poter continuare a rifornire la Germania accerchiata), sia per gli italiani (né la RSI né soprattutto gli industriali desiderano il blocco o la distruzione dell’apparato produttivo), per gli operai ci sarà il bastone pesantissimo delle deportazioni, e la carota del progetto fascista di socializzazione delle industrie (mai portato a termine).
In questa atmosfera cupa, angosciosa, di morte e di terrore, acquista un certo rilievo il ruolo di mediazione della Chiesa milanese: il cardinale Schuster si muove con calcolata prudenza ma non fa mancare note di protesta per la brutalità di fascisti e nazisti fino ad interpellare lo stesso duce, sottolineando anche come questi si abbandonino troppo spesso ad azioni di pura illegalità (tra cui il mercato nero). Vi è poi l’azione del “basso clero”, che in molti casi si schiera in aiuto della popolazione, se non addirittura milita in campo antifascista.
E infine, i milanesi: alla pesante situazione della città, che stenta a riprendersi dalle terribili incursioni aeree dell’estate del ’43, si aggiungono dalla primavera del ‘44 altri pesanti bombardamenti inglesi (notturni) e americani (diurni), che provocano nuova distruzione e morte. I milanesi, stretti tra i tedeschi, i fascisti e i bombardamenti, stremati dal freddo (il 1944 sarà uno degli inverni più freddi) e dalla fame, cercano non solo di sopravvivere, ma anche di vivere: i cinema, i teatri sono pieni mentre la città attende di capire come evolverà la situazione; attende soprattutto che la guerra, vada come vada, finisca.
Il racconto dell’autore ci porta direttamente nell’atmosfera caotica di quei giorni, nel cuore della guerra civile, nelle strade, nei luoghi di ritrovo, nelle fabbriche, in mezzo ai protagonisti del crollo imminente, i quali paiono pedine impazzite nella scena finale del fascismo, che a Milano è nato e a Milano muore. La città torna ad essere il palcoscenico violento di una vicenda ormai mortifera e lugubre; nei giorni del ritorno di Mussolini in città, si ha netta la percezione di un caos incontrollato dove tutti si muovono in un continuo andirivieni che ha dell’assurdo, mentre la città si fa silenziosa, attonita, in attesa. Ma sono anche i giorni in cui si definiscono i programmi per il dopo, si chiariscono i posizionamenti delle forze politiche, compaiono – nel contesto internazionale – tensioni che gli osservatori più acuti (e forse lo stesso Mussolini) hanno già inteso potrebbero portare alla rottura dell’alleanza tra Stati Uniti e Unione Sovietica. A Milano si sviluppano ipotesi politiche, trattative dei fascisti su più tavoli con interlocutori che agiscono gli uni all’insaputa degli altri, si scompongono e ricompongono, all’interno dei vertici del partito e dell’entourage del duce, ipotesi militari e politiche per tentare, di fronte alla sconfitta imminente, un passaggio di poteri che non comporti la resa incondizionata, mentre le decisioni in campo antifascista sono saldamente in mano al Comitato insurrezionale milanese del CLNAI (ne fanno parte Pertini, Valiani e Sereni): Milano diventa, nella fase finale del fascismo, il luogo in cui si disegna il futuro del paese.
Il racconto di Cuzzi ha il passo svelto della cronaca e lo sguardo profondo della storia: la ricostruzione di una cronologia puntuale, l’uso di una lingua rigorosa e mai fredda e di un presente storico di grande efficacia posizionano il lettore esattamente lì dove le cose succedono, facendo emergere dagli avvenimenti stessi la centralità dei seicento giorni di Salò nella storia italiana. Il passare dei giorni è scandito da incontri, avvicendamenti, agguati, arresti, fucilazioni, morti, dei quali si ricorda di volta in volta il nome, l’età, la professione, presentando il lungo elenco senza alcuna retorica. Si nominano le strade, le vie, i numeri civici, le sedi militari, politiche, istituzionali, i luoghi di reclusione e tortura, i muri dei fucilati, i marciapiedi, i cinema, i teatri, i bar, le abitazioni operaie: non sono dettagli “di colore” ma parte integrante dell’analisi che dimostra quanto l’intera città sia stata toccata dall’occupazione tedesca e dalla vicenda della RSI. È vero che i nazisti, i fascisti e i resistenti, sono pur sempre una minoranza rispetto alla popolazione milanese; ma è anche vero che nei milanesi, impegnati nell’enorme fatica di sopravvivere, l’umore vira sempre più verso l’insofferenza contro gli occupanti e contro il fascismo ormai in sfacelo, rendendo la città un luogo dove la Resistenza può mettere radici solide. Il rigore dello storico, infine, mai rinuncia all’empatia: esemplari le pagine sulla strage nazifascista di piazzale Loreto del 10 agosto 1944, sul bombardamento della scuola di Gorla del successivo 20 ottobre e quelle sui rastrellamenti e le deportazioni degli ebrei e degli oppositori dal Binario 21. Le due dediche che aprono il libro ricordano che la storia non è mai astratta e lontana, ma che ci riguarda, sempre. L’immagine viva di “una ragazza milanese, che era sfollata in quegli anni” e il ricordo di un “Vigile del fuoco milanese, che era a Gorla quel giorno” commuovono e restano come punto di inizio e fine nel racconto dei seicento giorni di Salò a Milano.
Un volume, per concludere, che affrontando la specificità milanese, mette a fuoco il “rimosso” più ingombrante della nostra storia e cioè l’intera vicenda della Repubblica Sociale: un’esperienza che non può essere definita nei termini riduttivi di “governo collaborazionista” o “fantoccio”, avendo assunto tra l’altro il ruolo di “mito fondativo” per l’estrema destra italiana. In questo senso, una ricerca apparentemente circoscritta alla storia locale arricchisce di nuove linee interpretative il filone storiografico che negli ultimi anni ha iniziato ad indagare più a fondo sull’esperienza finale del fascismo.
Il lungo racconto si conclude con l’immagine del convoglio del duce che si allontana da corso Monforte, decretando la fine della Repubblica Sociale. Resta nel lettore un piccolo cruccio, o forse un auspicio: si vorrebbe che il libro continuasse, raccontando i giorni che dal 25 aprile portano sino all’autunno del 1945, in una Milano finalmente libera. È già un’altra storia, che meriterebbe però di essere raccontata con lo stesso rigore e con la stessa passione che Cuzzi ha saputo infondere in questo libro.
di Paola Signorino
Bella recensione di un bel libro. La recensione di Paola Signorino e quasi un piccolo libro che sintetizza il libro più grande, analitico e dettagliato. Recensione ben fatta di chi evidentemente il libro l’ha letto e che conosce – da storica – i fatti e gli argomenti molto bene.
Complimenti ad autore (Marco Cuzzi) e al recensore (Paola Maria Signorino)