di Arturo Colombo*
Nato a Milano il 6 gennaio 1896 dal padre Francesco, di origine boema, e dalla madre Giuseppina Cairoli, partecipa alla guerra 1915-1918, dove – scriverà lui stesso il 25 novembre 1949 – “combatte sul fronte italiano (Carnia, Altopiano di Asiago, Isonzo, Piave) quale ufficiale in una batteria da montagna ed è più volte ferito: nel giugno 1916 e, più gravemente, sul Monte Tomba nel novembre del 1917, per cui fu decorato di due medaglie di bronzo, due croci di guerra e un encomio solenne. In altra lettera del 19 settembre 1952 (a Carlo Ludovico Ragghianti) ricorderà quell’esperienza in questi termini: “Prima della laurea ho avuto il tempo di fare il soldataccio nella guerra 1915-18, uscendone abbondantemente bucherellato”.
Si laurea all’Università Bocconi nel 1920, subito dopo entra alla Società Umanitaria come Segretario del Museo sociale, perfezionando i propri studi sociali.
Da subito avversario del fascismo, e sostenitore delle idee di libertà e democrazia, fin dal 1922 collaborò con Piero Gobetti e l’anno dopo promosse a Milano il Gruppo di Rivoluzione liberale. Ma nel luglio del 1924 – già allontanato per motivi politici dall’Umanitaria, in via di fascistizzazione – B. diede vita, insieme a Ferruccio Parri, al quindicinale Il Caffè (con l’identico titolo del foglio settecentesco dei fratelli Verri), proponendosi come “l’opposizione più irreducibile contro quelle teorie e quella pratica di violenza, sopraffattrici della libertà di coscienza, e del diritto politico, che hanno caratterizzato e caratterizzano il regime presente”.
Il Caffè, anche con la collaborazione di Giovanni Mira, Tommaso Gallarati Scotti, Luigi Rusca, Filippo Sacchi; Giovanni Malvezzi, Giustino Arpesani, denunciò con durezza la politica del fascismo, ormai diventato regime, e divenne così “costantemente oggetto di sequestro da parte della polizia”, come raccontò B. in Quello che ho fatto, Trent’anni di lotte e di ricordi, apparso postumo a due anni della morte di B. Con la stessa severità di giudizi, agli inizi del 1925 B. e Parri – firmandosi con lo pseudonimo «Demetrio» – pubblicarono anche Casi d’Italia, un pamphlet dove indicavano il fascismo come “immane coalizione di tutti i vizi della politica italiana”, ma coinvolgevano anche i componenti della cosiddetta “coalizione aventiniana”, che comprendeva, accanto ad autentici avversari della politica mussoliniana, anche qualche ambiguo personaggio. “Guardatevi, signori dell’Aventino, da certe disinvolture” suonava la durissima critica, espressa nelle pagine dei Casi d’Italia, “chi si è ritirato sull’Aventino dichiarando indegno il governo di Mussolini, si è impegnato sino in fondo a combatterlo: egli si è inchiodato ad un impegno preciso”.
Questo impegno preciso B. Io perseguì senza tregua attraverso un’intensa attività cospirativa, che già nel 1926 – anche per il contributo dato nel far fuggire e trasferire a Parigi il leader socialista Filippo Turati – lo portò all’arresto, con la prima condanna a due anni tra prigionia (nel carcere San Donnino di Como) e confino, trascorsi nell’isola di Ustica, dove conobbe Carlo Rosselli, e poi a Lipari. Tornato a Milano, insieme a Ernesto Rossi, Parri e altri più giovani (Umberto Ceva, Mario e Alberto Damiani, Vittorio Albasini Scrosati, Max Salvadori), pose le basi del movimento di «Giustizia e libertà» con l’obbiettivo di accentuare la lotta antifascista. Ma per il tradimento di un aderente (Carlo Del Re, la cosiddetta “spia del regime”), fu arrestato il 30 novembre del 1930, trasferito a Roma nel carcere di Regina Coeli, e condannato nel maggio 1931 dal Tribunale Speciale a vent’anni di reclusione, trascorsi per la maggior parte a Regina Coeli (oltre ad una permanenza in cella nel carcere di Alessandria, nel 1931), in compagnia di Ernesto Rossi, e poi al confino, nell’isola di Ventotene, fino al luglio del 1943.
“Tradire l’Italia di oggi per salvare l’Italia di domani in un mondo libero” aveva sostenuto nel 1927; e in occasione del processo del 1930 aveva avuto il coraggio di scrivere al presidente del Tribunale Speciale: “Quando la disciplina deve essere passiva servitù, il diritto si trasforma in arbitrio; quando la legge non è tale che per la forma, non per la forza etica che ne emana, allora la norma di condotta che ti impone nasce da una sfera più alta; è un imperativo morale che ti comanda di operare nell’ordine del tuo pensiero e del tuo carattere, di stabilire innanzi tutto la libertà della tua e dell’altrui coscienza violata, anche se ciò dovesse costarti il più grave dei sacrifici”. Cominciavano i lunghi anni in cella, “come fuori dal mondo”, con la compagnia delle pagine di Croce o De Ruggiero, Il Capitale di Marx e La Libertà di Martinetti, i testi di storia dei Risorgimento e di storia europea, le riviste di diritto e di economia, i numeri del Giornale d’Italia del lunedì, unico quotidiano ammesso (attraverso il quale B. nel luglio del 1937 seppe dell’assassinio dei fratelli Rosselli).
Nel dicembre del 1939 cominciò il cosiddetto periodo di “aria libera… condizionata”, con il trasferimento al confino nell’isola di Ventotene, dove B. trovò altri antifascisti, da Umberto Terracini a Sandro Pertini, a Altiero Spinelli, a Eugenio Colorni, a Mauro Scoccimarro. Dell’ultimo periodo di Ventotene rimangono alcuni scritti, spediti clandestinamente in continente, che mostrano in B. una coerente linea di continuità dal Caffè a «Giustizia e Libertà» fino al Partito d’azione, “la meteora ben presto apparsa e scomparsa nel cielo della politica nazionale”, come sosterrà nella raccolta dei suoi scritti, Il senso della libertà. Temi e problemi della maturazione democratica (1967). Nello stesso volume, in alcune note estemporanee dell’ottobre 1941, B. ribadisce di essere “integralmente avverso ad ogni dogmatismo ideologico, e di conseguenza ad ogni autoritarismo pratico” e precisa che la libertà “è nell’uomo, non nelle cose”, aggiungendo che la libertà “non è un privilegio affermato”, bensì “un processo cosciente di liberazione”, fuori da ogni falsa panacea autoritaria o totalitaria.
Con l’ostinazione di chi attende l’avvento di una politica “che sia esigenza etico-politica, politica metapolitica”, B. respinge il fascismo “chiuso in una weltanschauung per noi repellente”, ma dissente altresì dai comunisti e dalla loro “politica proletaria e classista”, insistendo perché si realizzi una “integrale democrazia liberale”, in grado di coinvolgere anche le masse lavoratrici, in forza del principio che “non è negandone la spontanea capacità costruttiva che si orientano le masse verso i più elevati valori umani, bensì facendo leva sulle loro positive qualità, avendo fede nelle loro qualità migliori”. Inoltre B. sottolinea che “è ben lontana da noi ogni intenzione paternalistica rispetto ai lavoratori”, e precisa: “Non siamo e non vogliamo essere superuomini […]; ma uomini che tra gli uomini cercano di suscitare impulsi fecondi di vita collettiva ed individuale, cosciente e libera”.
Autorevole osservatore della situazione interna e estera, insieme ai compagni di prigionia B. non si perde d’animo. Così rammentava quei giorni in una lettera del 16 maggio 1974: “l’esasperarsi della situazione internazionale ci dava sicurezza di non lontana liberazione e naturalmente si pensava al poi; pel nostro gruppo due idee fondamentali erano fermissime: repubblica e costituente”.
Tornato in libertà dopo il 25 luglio 1943, ai primi di settembre B. entrò nel comitato esecutivo centrale del Partito d’azione, con l’incarico di organizzare a Roma la segreteria di quel partito; dopo l’8 settembre divenne capo delle formazioni partigiane dello stesso partito e prese posto nel Comitato 2 (o Comitato aggiunto) creato all’interno del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale). Ebbe l’incarico di predisporre come organizzare meglio le operazioni militari al nord in rapporto al movimento partigiano, tenendo i fili da Roma. Così riassumeva quel periodo nella già citata lettera del 25 novembre 1949: “Entra a far parte del Comitato di Liberazione Nazionale Centrale e in tale veste rappresenta il partito nella giunta militare centrale organizzatrice della resistenza italiana. Tiene quel posto sino all’ingresso degli alleati a Roma. Rifiuta di far parte come ministro senza portafogli del primo Ministero Bonomi, poiché si propone di passare al nord per continuare la lotta armata. Per desiderio del Comando alleato si tratterrà però a Roma per collaborare con esso alla organizzazione strategica della resistenza”.
Dalla seconda metà del 1944, scrisse – con lo pseudonimo di Carlo Bandi – due importanti saggi per la collana dei Quaderni dell’Italia Libera (dal nome del giornale, organo ufficiale del Partito d’azione): il primo si intitolava Partito d’azione e socialismo, l’altro Partito d’azione, liberalismo e liberismo (poi ripubblicati nel volume baueriano Alla ricerca della libertà, apparso nel 1957). B. non ha dubbi che il Partito d’azione “è senz’altro un partito rivoluzionario”; non lo convince, invece, il tentativo di inserire l’azionismo nel campo rigorosamente socialista, soprattutto in quello di impronta marxista, perché al principio della lotta di classe B. contrappone il concetto della libertà “quale spirituale processo di liberazione, per cui il fatto economico, lungi dall’essere determinatore, ne è determinato”. E aggiunge che l’importante “non è l’abolizione delle classi, ma di ordinare la vita politica ed economica in modo che ne sia impedita la cristallizzazione, di contrastare decisamente la tendenza che una classe ha da fissarsi come tale divenendo oppressiva e parassitaria”. Al rifiuto di scegliere la ricetta socialista accompagna il rifiuto, altrettanto categorico, di resuscitare i vecchi istituti dell’economia liberista, oramai “trasformati in possibile ed effettivo mezzo di instaurazione di privilegio per una ristretta cerchia plutocratica nonché di oppressione politica”.
Presto indicato come esponente della “destra” del Partito d’Azione (“secondo quella superficiale e spesso aberrante catalogazione – dirà più tardi lui stesso –, tanto in uso nel dizionario della politica di partito”), già dal dicembre del 1944 B. diede vita alla rivista quindicinale Realtà politica, che uscì fino al luglio del 1946, dove si raccoglievano le firme degli azionisti più autorevoli: da Parri a La Malfa, da Achille Battaglia a Oronzo Reale, da Manlio Rossi Doria a Bruno Visentini, oltre a Luigi Salvatorelli, a Aldo Garosci, a Guido Dorso, a Mario Vinciguerra. “La crisi in cui l’Italia è stata precipitata dal fascismo è soprattutto crisi di disorientamento morale” scrive B. nel primo numero, e insiste di seguito, sostenendo “l’essenziale motivo della vita politico-sociale come sintesi di libertà nella libertà”. Ma le speranze di un rapido e genuino rinnovamento non riescono con il pur breve governo Parri; così B. decise di dimettersi sia dal Partito d’azione, sia dalla Consulta, dov’era stato nominato in rappresentanza di quello stesso partito.
Da allora B. lasciò la vita politica attiva, ma non si ritirò affatto in silenzio. Ritornò a Milano, dove riprese a lavorare alla testa della Società Umanitaria: “ora sto a guastarmi il fegato per ricostruire, contro la volontà di amici ed avversari, la vecchia Umanitaria, che è una delle poche cose che ci fosse in Italia meritevoli di rispetto e che, naturalmente, è uscita sconquassata ma non doma dalla cura radicale del fascismo e della guerra. Con quale risultato di tanto rodimento, non so. È probabile che sia quello più giusto in un paese come il nostro: rimessa in piedi la baracca ci sarà pur un prete che se la mangerà” (così scriveva a Ragghianti nella stessa lettera del 1952).
Così, dal 1945 al 1968-1969, B. operò per dare – in primis ai giovani – attraverso questo importante ente assistenziale ed educativo, accanto a una concreta preparazione per l’entrata nel mondo del lavoro, anche quella coscienza civile, indispensabile per rendere ogni cittadino partecipe di un’autentica “democrazia reale”. E anche dopo il forzato abbandono dell’Umanitaria, cui lo costrinsero certe frange estremistiche di contestatori nell’estate del 1969, B. continuò la sua attività di educatore, di cui rimangono testimonianze nel Breviario della democrazia (1978) e nell’ABC della democrazia (1980), oltre all’opera svolta come presidente tanto della Società per la pace e la giustizia internazionale (fondata da Teodoro Moneta), quanto della sezione italiana della Lidu (Lega internazionale per i diritti umani): cariche, che B. mantenne fino alla morte, il 15 ottobre del 1982.
Bibliografia
Bauer R., Alla ricerca della libertà, Parenti, Firenze 1957; Id., Kermesse italica, Parenti, Firenze 1958; Id., Il senso della libertà. Temi e problemi della maturazione democratica, Lacaita, Manduria 1967; Id., Il dramma dei giovani, Pan, Milano 1977; Id., Breviario della democrazia, Pan, Milano, 1978; Id., ABC della democrazia, Pan, Milano 1980; Id., Quello che ho fatto. Trent’anni di lotte e di ricordi, a cura di Piero Malvezzi e Mario Melino, presentazione di Arturo Colombo, Laterza, Roma-Bari 1984; Id., Le radici della democrazia. Antologia degli scritti 1944-1946, XVII Quaderno della Nuova Antologia, Le Monnier, Firenze 1983; La guerra non ha futuro. Saggi di educazione alla pace, a cura di Franco Mereghetti, Linea d’Ombra, Milano 1993; Riccardo Bauer. Un progetto di democrazia, a cura di Arturo Colombo, il Mulino, Bologna 1996; Aa.Vv., Riccardo Bauer. La militanza politica, l’opera educativa e sociale, la difesa della pace e dei diritti umani, a cura di Mario Melino, FrancoAngeli, Milano 1985; Aa.Vv., Il coraggio di cambiare. L’esempio di Riccardo Bauer, a cura di Arturo Colombo, FrancoAngeli, Milano 2002; Antologia del Caffè: giornale dell’antifascismo, a cura di Bianca Ceva, con prefazione di Ferruccio Parri, ed. Lerici, Milano 1961; Arturo Colombo, Riccardo Bauer e le radici ideologiche dell’antifascismo democratico, Forni, Bologna 1979; Lettere di antifascisti dal carcere e dal confino, con prefazione di Giancarlo Pajetta, Editori Riuniti, Roma, 2° ed., vol. l°; «Il Caffe» (1924–1925), reprint a cura di Ercole Camurani, con un saggio introduttivo di Arturo Colombo, Forni, Bologna 1976; Riccardo Bauer. Educare alla democrazia e alla pace, a cura di Morris L. Ghezzi, ed. Società Umanitaria-Il Raccolto, Milano 2009; Riccardo Bauer. Pesci in faccia. Verità che scottano, presentazione di Sergio Romano, ed. Società Umanitaria-Il Raccolto, Milano 2012.
In preparazione, Riccardo Bauer. Un ideale che diventa destino. Lettere 1916-1982, presentazione di Alberto Martinelli, ed. Società Umanitaria-Guado, Milano 2022.
* Arturo Colombo – Storico delle dottrine politiche e giornalista italiano (Milano 1934 – ivi 2016). Allievo a Pavia di Vittorio Beonio Brocchieri, dal 1976 ha assunto la docenza di Storia delle dottrine politiche nello stesso ateneo, divenendone professore emerito nel 2004. Tra i suoi studi spiccano quelli sulle correnti del pensiero politico europeo dal XVIII al XX secolo, condotti con fedeltà alle idee del Risorgimento e in accordo con la tradizione mazziniana. Presidente del Centro manoscritti di Pavia, ha affiancato a quella di ricerca una densa attività nel settore del giornalismo: membro del comitato direttivo di importanti riviste politiche italiane (tra le altre, Il pensiero politico e Il Risorgimento), dal 1964 è stato editorialista per il Corriere della Sera