Tratto da: Opere Complete, vol. «“Fronte unico proletario”: Il biennio rosso, Umanità Nova e il fascismo, 1919–23» (Milano–Ragusa, 2021), p. 674–5 di Errico Malatesta.
La forza materiale può prevalere sulla forza morale, può anche distruggere la più raffinata civiltà se questa non sa difendersi con mezzi adatti contro i ritorni offensivi della barbarie.
Ogni bestia feroce può sbranare un galantuomo, fosse anche un genio, un Galileo o un Leonardo, se questi è tanto ingenuo da credere che può frenare la bestia mostrandole un’opera d’arte o annunziandole una scoperta scientifica!
Però la brutalità difficilmente trionfa, ed in tutti i casi i suoi successi non sono mai generali e duraturi, se non riesce ad ottenere un certo consenso morale, se gli uomini civili la riconoscono per quello che è, e se anche impotenti a debellarla, ne rifuggono come da cosa immonda e ripugnante.
Il Fascismo, che compendia in sé tutta la reazione e richiama in vita tutta l’addormentata ferocia atavica, ha vinto perché ha avuto l’appoggio finanziario della borghesia grassa e l’aiuto materiale dei vari governi che se ne vollero servire contro la incalzante minaccia proletaria; ha vinto perché ha trovato contro di sé una massa stanca, disillusa e fatta imbelle da una cinquantenaria propaganda parlamentaristica; ma soprattutto ha vinto perché le sue violenze ed i suoi delitti hanno bensì provocato l’odio e lo spirito di vendetta degli offesi ma non hanno suscitato quella generale riprovazione, quella indignazione, quell’orrore morale che ci sembrava dovesse nascere spontaneamente in ogni animo gentile.
E purtroppo non vi potrà essere riscossa materiale se prima non v’è rivolta morale.
Diciamolo francamente, per quanto sia doloroso il constatarlo. Fascisti ve ne sono anche fuori del Partito fascista, ve ne sono in tutte le classi ed in tutti i partiti: vi sono cioè dappertutto delle persone che pur non essendo fascisti, pur essendo antifascisti, hanno però l’animo fascista, lo stesso desiderio di sopraffazione che distingue i fascisti.
Ci accade, per esempio, d’incontrare degli uomini che si dicono e si credono rivoluzionari e magari anarchici i quali per risolvere una qualsiasi questione affermano con fiero cipiglio che agiranno «fascisticamente», senza sapere, o sapendo troppo, che ciò significa attaccare, senza preoccupazione di giustizia, quando si è sicuri di non correr pericolo, o perché si è di molto il più forte, o perché si è armato contro un inerme, o perché si è in più contro uno o perché si ha la protezione della forza pubblica o perché si sa che il violentato ripugna alla denunzia — significa insomma agire da camorrista e da poliziotto. Purtroppo è vero: si può agire, spesso si agisce «fascisticamente» senza aver bisogno d’iscriversi tra i fascisti; e non sono certamente coloro che così agiscono, o si propongono di agire, fascisticamente, quelli che potranno provocare la rivolta morale, il senso di schifo che ucciderà il fascismo.
E non vediamo gli uomini della Confederazione, i D’Aragona, i Baldesi, i Colombino ecc., leccare i piedi dei governanti fascisti, e poi continuare ad essere considerati, anche dagli avversari politici, quali galantuomini e quali gentiluomini?!
Queste considerazioni, che del resto abbiamo fatte tante volte, ci son rivenute alla mente leggendo un articolo di L’Etruria Nuova di Grosseto che ci siamo meravigliati di vedere compiacentemente riprodotto da La Voce Repubblicana del 22 agosto. È un articolo del «suo valoroso direttore, il bravo Giuseppe Benci, il decano dei repubblicani della forte Maremma» (tanto per servirci delle parole della Voce) il quale a noi è sembrato un documento di bassezza morale, che spiega perché i fascisti han potuto fare in Maremma quello che hanno fatto.
Sono note le gesta brigantesche dei fascisti nella sventurata Maremma. Là più che altrove essi hanno sfogato le loro passioni malvage. Dall’assassinio brutale, alle bastonature a sangue, dagl’incendi e dalle devastazioni fino alle tirannie minute, alle piccole vessazioni che umiliano, agl’insulti che offendono il senso di dignità umana, tutto essi hanno commesso senza conoscere limite, senza rispettare nessuno di quei sentimenti che, nonché essere condizione di ogni vivere civile, sono la base stessa dell’umanità in quanto è distinta dalla più infima bestialità.
E quel fiero repubblicano di Maremma parla loro in tuono dimesso e li tratta da «gente di fede» e mendica per i repubblicani la loro sopportazione e quasi la loro amicizia, adducendo i meriti patriottici dei repubblicani stessi.
Egli «ammette che il governo (il governo fascista) ha il diritto, il dovere di garantirsi il libero svolgimento della sua azione» e lascia intendere che quando i repubblicani andranno al potere faranno su per giù la stessa cosa. E protesta che «nessuno potrà ammettere che da noi (a Grosseto) il Partito Repubblicano abbia con qualsiasi atto tentato di ostacolare l’esperienza della parte dominante» e si vanta di «non aver per nulla intralciata l’azione del governo ritraendosi perfino dalle lotte elettorali ad attendere che l’esperimento si compia». Cioè, attendere che si compia l’esperimento di dominazione su tutta Italia da parte di quella gente che ha straziato la sua Maremma.
Se lo stato d’animo di quel signor Benci corrispondesse allo stato d’animo dei repubblicani e la sorte del governo fascista dovesse dipendere da loro, avrebbe ragione Mussolini quando dice che resterà al potere trent’anni. Vi potrebbe restare anche trecento!
Errico Malatesta nasce a S.Maria Capua Vetere il 4 dicembre 1853. Internazionalista anarchico dal 1871, partecipa al Congresso di St.Imier del 1872, atto di nascita del movimento anarchico. È protagonista dei momenti di più intensa lotta sociale del successivo mezzo secolo in Italia: l’insurrezione del Matese del 1877, i moti del pane del 1898, la Settimana Rossa del 1914, il biennio rosso del 1919–20. Vive la maggior parte della vita adulta all’estero da esule e lavoratore manuale, in paesi di forte emigrazione italiana e presenza anarchica: Francia, Belgio, Svizzera ed Egitto (1878–82), Argentina (1885–9), Stati Uniti (1899–1900), Inghilterra (1889–97, 1900–13, 1914–19). Amato dai compagni, rispettato dagli avversari e temuto dai nemici, contribuisce al movimento anarchico con l’azione e col pensiero. Opuscoli di propaganda come Fra Contadini, L’Anarchia e Al Caffè hanno avuto innumerevoli riedizioni e traduzioni. Tuttavia il suo pensiero è soprattutto affidato alla miriade di articoli disseminati nella stampa anarchica. Periodici da lui redatti, come L’Associazione (1889–90), L’Agitazione (1897–98), Volontà (1913–14), Umanità Nova (1920–22) e Pensiero e Volontà (1924–26), sono fra i più significativi della storia del pensiero anarchico. Malatesta muore a Roma il 22 luglio 1932.
Opere Complete, vol. «“Fronte unico proletario”: Il biennio rosso, Umanità Nova e il fascismo, 1919–23» (Milano–Ragusa, 2021), p. 674–5