Parole antifasciste

Nella parte iniziale del 1921, la violenza fascista crebbe notevolmente in varie zone del paese. Durante il XVII Congresso nazionale del PSI organizzato a Livorno, quello della scissione dei comunisti, a Ferrara furono arrestati il sindaco socialista e il capo delle leghe rosse. Giacomo Matteotti, informato dei fatti, abbandonò Livorno e, giunto il 18 gennaio a Ferrara per sincerarsi della situazione e assumere la direzione della Camera del Lavoro, fu aggredito dai fascisti. Fu strattonato, minacciato, insultato e coperto di sputi, senza che le autorità di pubblica sicurezza intervenissero. Il 25 gennaio un centinaio di squadristi ferraresi si rese protagonista di violenze in vari centri del Polesine, a Lendinara fu ucciso il capo della Lega contadina Luigi Ghirardini. Il 31 gennaio Matteotti denunciò per la prima volta alla Camera le violenze fasciste. Nelle settimane successive il clima peggiorò, per il deputato socialista e per il complesso dei rappresentanti politico-sindacali dei lavoratori della terra. Il 10 marzo, alla Camera, Matteotti tornò a parlare delle violenze fasciste, finanziate dagli agrari e tollerate non solo dalla magistratura e dai carabinieri, ma anche dalla maggior parte degli esponenti della classe dirigente liberale. Il 12 marzo Matteotti fu nuovamente aggredito a Castelguglielmo, nel rovigiano, dove si era recato per una riunione con le leghe. Fu trattenuto dai fascisti per molte ore, minacciato e insultato. Caricato su un camion e portato in giro per le campagne, fu di nuovo minacciato di morte e, forse, stuprato. Rilasciato a Lendinara a tarda notte, dovette tornare a Rovigo a piedi. Il 17 marzo 1921, dopo soli cinque giorni, Matteotti tornò a denunciare alla Camera il comportamento dei fascisti, facendo solo un piccolo riferimento al suo sequestro e alle violenze subite.

Se noi insistiamo su questi episodi che avvengono nella provincia di Rovigo, è perché essi sono la dimostrazione tipica di una violenza che non è reazione alla violenza, perché nessuno di voi ha portato qui episodi di violenza da parte nostra. Noi soltanto siamo a denunciarvi in questi episodi le violenze dell’altra parte, che vengono continuamente a turbare la vita civile del nostro Polesine. Non solo: ma le organizzazioni, le associazioni avversarie rivendicano apertamente queste violenze, ne fanno l’apologia nei giornali, nei manifesti impunemente […]. Quando si vede un’autorità politica che ordina, ma non fa eseguire i suoi ordini, noi domandiamo se esiste, all’infuori del ministero dell’Interno, un altro organo che dia istruzioni differenti, o che per lo meno lasci agire in senso contrario a quello che ci si dimostra essere stato disposto dall’autorità politica […]. I carabinieri arrivano giusto dopo quel tanto tempo che è sufficiente perché il camion dei fascisti si allontani e tutto sia finito. Il comandante dei carabinieri di Lendinara proclama che i socialisti debbono essere tutti ammazzati, e che appena finita la sua ferma egli si farà fascista. Lo proclama in pubblico, intanto assiste alle perquisizioni che questi gruppi di forestieri armati compiono sui cittadini inermi in città. Assiste compiacentemente ed applaude […]. Che più? Il comandante dei carabinieri di Castelguglielmo, nel mio leggiadro episodio, va in perlustrazione fuori del paese, mentre ci sono 300 armati sulla piazza, e quindi venti ore dopo le notizie che si hanno a Rovigo sull’incidente, egli così ne racconta: «pare che in paese, mentre io ero fuori, siano avvenuti alcuni incidenti, siano stati bruciati alcuni mobili, e pare che fosse presente anche l’onorevole Matteotti». Questo presso a poco è il suo rapporto; e dopo parecchie altre ore, quando finalmente il fatto viene a conoscenza di tutti per altra via, egli racconta che le 300 persone radunate nella piazza erano tutte sconosciute; mentre tutti avevano visto gli agrari armarsi, e tutti conoscevano una per una le persone che si trovavano nella piazza.

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