Tra l’estate e l’autunno del 1995 Federica Montevecchi, studiosa di filosofia e docente, raccolse le testimonianze autobiografiche di quattordici personalità molto rilevanti, in ambiti diversi, della storia del Novecento italiano. Si tratta di Vittorio Foa (con il quale collaborò curandone vari scritti a cominciare dalle Lettere della giovinezza scritte in prevalenza ai genitori dal carcere fascista tra il 1935 e il 1943), Carlo Bo, Margherita Hack, Mario Soldati, Renato Dulbecco, Inge Feltrinelli, Mario Luzi, Elio Toaff, Nilde Iotti, Giulio Einaudi, Leo Valiani, Antonino Caponnetto, Giorgio Bocca e Tullia Zevi. Nel 2023, con le edizioni Pendragon, Montevecchi ha scelto di riproporre le testimonianze in un volume dal titolo tanto suggestivo quanto appropriato, Frammenti di futuro, quasi a voler indicare la profondità delle riflessioni che, pur riferendosi agli anni giovanili di scienziati, politici, scrittori, editori, giornalisti (ma anche un magistrato “simbolo” della lotta alla mafia e la massima autorità religiosa ebraica italiana) si proiettano sul presente e, quindi, sul futuro di allora. Si ripropone qui una piccola parte della testimonianza di Tullia Zevi, antifascista, giornalista e presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI).
Mi ricordo il mio impegno antifascista nella Mazzini Society negli anni degli studi universitari prima a Parigi, poi a New York, infine a Cambridge, dove mi sono laureata. Insieme ad altri giovani ero chiamata a spiegare quanto stava accadendo in Europa. Soprattutto agli italoamericani che erano i più intontiti dalla propaganda fascista, tanto che pensavano che essere fascisti equivalesse all’essere patrioti. Insieme ai miei compagni dovevamo far loro capire che cosa fosse il Tribunale speciale e più in generale la morte della libertà: era molto difficile far comprendere – in un’America che si preparava a entrare in guerra – che l’onore dell’Italia si difendeva in realtà nell’opporsi al fascismo, l’artefice della distruzione della struttura democratica italiana. Purtroppo ancora oggi gli italoamericani sono legati all’ideologia di destra e hanno quasi nostalgia dell’omaccione che “si faceva sentire dagli americani”. Mi ricordo spesso Gaetano Salvemini, il maestro mio e degli altri giovani nella Mazzini Society. Lo invitavamo a mangiare gli spaghetti e solo vederlo era una lezione di democrazia e di libertà. Noi eravamo cresciuti nelle scuole italiane, frastornati dalla propaganda fascista nauseante e disgustosa, volta a imbottire il cervello dei giovani di retorica, di esaltazione della “razza” e di violenza. Talvolta mi capitava di pensare che le leggi razziali ci avessero salvati dal lavaggio del cervello: gli italiani, infatti, erano ormai cloroformizzati dalla propaganda fascista e non riuscivano a capire che Mussolini avrebbe portato loro e l’Italia alla rovina […]. Ero e sono convinta che la libertà sia la stoffa di cui è fatta la democrazia e va difesa con forza, perché se la si perde sono inevitabili lacrime e sangue per riconquistarla. Io ho visto cosa ha significato perdere la libertà e quanto sia costato riconquistarla: per questo è importante, anche se difficile, difenderla senza mai distrarsi. Come ha detto Jefferson: il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza.