Tratto da una vicenda realmente accaduta, One life ricostruisce la storia di Nicholas Winton, agiato broker londinese che decide di recarsi a Praga per scopi umanitari. Siamo nel 1938, alla vigilia della Seconda guerra mondiale. In Cecoslovacchia, in accampamenti di fortuna (al freddo e senza cibo), si ammassano famiglie ebree in fuga dalla Germania e dall’Austria mentre la minaccia di un’invasione nazista è sempre più presente. L’unico modo di salvare i bambini è procurare loro dei visti, reperire fondi e trovare famiglie affidatarie disponibili ad ospitare i minori non accompagnati in Inghilterra. Insieme alla madre e ad un gruppo di eroici collaboratori, “Nicky” farà tutto il possibile, riuscendo a salvare 669 bambine e bambini prima della chiusura definitiva delle frontiere europee e dello scoppio della guerra. Sembra una disperata corsa contro il tempo e la burocrazia non facilita di certo la missione. Ma Winton non si scoraggia: anche se inizialmente l’impresa sembra impossibile, la sua determinazione porterà a risultati importanti.

Il film, ambientato nell’Inghilterra di fine anni Ottanta e girato in parte a Praga, inizia con l’anziano protagonista che rivive continui flash back. L’uomo deve fare ancora i conti con la sua coscienza per non essere riuscito a “fare di più”. Ma il desiderio di superare il senso di colpa, e di raccontare al mondo la sua storia, lo porterà a un’inaspettata sorpresa, a una esperienza condivisa resa possibile da una popolare trasmissione televisiva della BBC.

Oltre all’interpretazione magistrale di Anthony Hopkins, premio Oscar per Il silenzio degli Innocenti, il lungometraggio si avvale anche della partecipazione di Helena Bonham Carter, Johnny Flynn, Jonathan Pryce, Lena Olin. La regia del britannico James Hawes, efficacie ed emozionante, risente a tratti di uno stile caratterizzato dai ritmi e dall’estetica del “Film TV”, ma la forza della storia rende comunque il film molto interessante.

Sir Nicholas “Nicky” Winton nacque a Londra nel 1909, da una famiglia di origini ebraiche. È noto a livello internazionale come filantropo e, appunto, per aver organizzato il salvataggio di 669 bambini ebrei attraverso l’operazione “Kindertransport” (in tedesco trasporto di bambini). Le sue azioni sono divenute note al grande pubblico soltanto cinquant’anni più tardi, alla fine degli anni ottanta. Nel 2003 è stato nominato Cavaliere dalla Regina Elisabetta II e nel 2014 è stato insignito della più alta onorificenza della Repubblica Ceca. È scomparso all’età di 106 anni, dopo una vita dedicata ad aiutare i più deboli. La stampa inglese ha definito Sir Winton “lo Schindler britannico”, avvicinando la sua storia alla vicenda del più noto industriale tedesco o a quella dell’italiano Giorgio Perlasca, figure alle quali è stato riconosciuto il ruolo di “giusti” dalle comunità ebraiche. Nel 2011 è uscito inoltre un documentario slovacco del regista Matej Mináč, dal titolo “La famiglia di Nicky”, a testimonianza di quanto l’impegno del singolo uomo abbia potuto incidere sulle sorti di molti.

A quasi ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, i film sulla Shoah e sui nazisti sono ormai diventati un genere cinematografico, capace di raccontare e di esplorare la Storia grazie a nuove testimonianze e all’impegno di chi continua a ritenere necessaria la divulgazione di queste vicende. Eppure alle soglie del 2024, fa un certo effetto allo spettatore notare come il presente sia angosciosamente simile a quegli anni terribili del passato. I termini rifugiati, vittime, sfollati, deportati, bombardamenti, invasioni sono presenti o, peggio, protagonisti delle cronache internazionali. Aumentano i conflitti e le tensioni internazionali, come se le vicende disastrose figlie delle folli politiche di Hitler non avessero insegnato nulla. Quindi, se qualcuno si stesse chiedendo «Ancora film sui nazisti?» la nostra risposta è «sì!». 

di Alessandro Calisti

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