Non si tratta di dare qualche dispiacere alle amicizie LGBTQ+ se si rende discutibile l’impegno delle competenze linguistiche per dare valore identitario alla sessualità della grammatica. Tanto, alla fine ha ragione il Manzoni che nelle lingue è l’uso che la fa da padrone: non posso dire scemo a Dante perché l’aggettivo ha cambiato significato e oggi la punteggiatura fluttua. E non siano ancora finite le conseguenze dell’”uso” non solo grafico di messaggini e chat. Sono una coetanea di Natalia Aspesi che un po’ di esperienza se l’è fatta: se davvero voglio rispettare le differenze che veniamo scoprendo per l’ignoranza che continuiamo ad avere della natura, bisogna combattere i pregiudizi e affrontare la questione dei diritti: se la carta d’identità registra il sesso, la legge deve consentirne il cambiamento volontario. Da quando l’ipocrisia della presunta “normalità” cede alla constatazione del numero imponente di “differenze” è doveroso che cada l’emarginazione e il femminismo, giustamente, estende il suo desiderio di conoscenza superando le colpe dei tabù non cancellati.

Tutto questo per affermare la complessità di un faticoso riaggiustamento dei diritti dopo secoli di emarginazione “voluta” dalla tradizione patriarcale. Ma anche per riportare i problemi negli alvei di competenza. Il linguaggio ha il potere di dispiegare tutte le fantasie possibili nella creatività inventiva di neologismi, esotismi, tecnicismi verbali. Non ha il potere di rifare la logica del linguaggio nelle sue articolazioni: posso dispiegare inventiva per tutti gli aggettivi, i nomi o gli avverbi a mio piacere, ma non posso pensare di cambiare la funzione dell’aggettivo o dell’avverbio. Idem per i verbi, le coniugazioni, le declinazioni dove ci sono, la presenza dell’articolo (l’italiano inventò l’articolo per rimediare la povertà del latino che non aveva i mezzi per parlare di dio che può essere detto bonum anche se bonum vale pure per una caramella), l’uso del neutro (che per i greci antichi e i tedeschi moderni “cosifica” il bambino). Per questo, se in prima elementare dico tavolo mi insegnano che è “sostantivo singolare maschile”, mentre sedia è “sostantivo femminile singolare”. Né tavolo, né sedia sono sessuati, hanno semplicemente “genere morfologico” diverso. Per farla breve, quando si va all’anagrafe a denunciare la nascita di un bambino/a, qualunque sia la sessualità presunta del piccolo/a/x, per la registrazione o è Mario o è Maria.

Restano da chiarire altri fatti della modernità, prima di tutto la scelta del femminismo di dare al “genere” la connotazione specifica che compare come gender in tutti i documenti internazionali relativi alle discriminazioni contro le donne. Le quali donne si arrabbiarono moltissimo quando lo psicoterapeuta sessuofobo parigino e monsignore cattolico Tony Anatrella che (poi fu rimosso) “curava” l’omosessualità come malattia, consolidò la “teoria del gender” che si è diffusa parzialmente cancellando il significato femminista (fino a qualche tempo fa circolava un e-book “l’invenzione cattolica di una “teoria del gender” che non c’è, Ma c’è il gender che non è una teoria”). Paradossalmente un cambiamento semiologico che oggi viene ripreso non per annullare il sessismo di genere, ma per estenderne i contenuti. Le forme restano e resta il patriarcato. Se riconduciamo alla regola morfologica il nostro uso della lingua, dire avvocata, ministra, diacona non sono ideologismi femministi, sono correttezza grammaticale: avvocatessa e diaconessa usano il suffisso -essa che il Devoto-Oli decretò potenzialmente spregiativo e ministro rivolto ad una donna sono errori di italiano (errore blu), mentre presidentessa è anche demenziale perché presidente è un participio (colui, colei che presiede). Poi a Montecitorio veniva annunciato “entra il presidente” e arrivava la Iotti. D’altra parte il genereha il suo coté patriarcale anche tra le donne che spesso sono gratificate se gli si dice che “sono come un uomo”. Non è bene che diventi l’uso anche per il futuro. Anche questa è libertà che va sostenuta, perché si tratta di rispetto del nostro essere di umani: uguali e diversi. Interessante, comunque, constatare che di questo spaccare il capello in quattro si occupino soprattutto le donne: il patriarcato ha modi subdoli per favorire la neutralizzazione del linguaggio: è disposto ad imbarcare tutti, tutte, e pure lo schwa, purché non cambi il modello unico.

di Giancarla Codrignani 

Articolo pubblicato in data 16.11.2021 sulla rivista Noi Donne 
link: https://www.noidonne.org/articoli/oddio-anche-lo-schwa.php 

 

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