L’ideologia del fascismo è il titolo di un saggio pubblicato da Norberto Bobbio nel lontano 1975. Lo scritto vide la luce in un quaderno della FIAP che, in quest’autunno complesso e drammatico, lo ha riproposto con l’editore Biblion a distanza di quasi cinquant’anni dalla sua prima uscita. Qualcuno potrebbe chiedersi il perché di questa iniziativa editoriale, la domanda sarebbe legittima. Cosa può darci uno scritto così datato, considerati gli enormi avanzamenti della storiografia sul regime di Mussolini dagli anni Settanta ad oggi? E ancora, perché continuare a parlare di fascismo? Interessa davvero ai cittadini e ai loro rappresentanti, cioè ai politici che sono chiamati ad amministrare la cosa pubblica a livello nazionale e locale? Serve a qualcosa?
In quella che si può definire era dell’attimo, un periodo in cui tutto non è semplicemente schiacciato sul presente ma addirittura sul momento, non solo la ripubblicazione è utile ma si configura come un’urgenza. Significa proporre una riflessione che, innanzitutto, ci ricorda che il tempo ha più dimensioni e che il senso critico è impossibile da costruire (negli individui e nella società) senza tenere vive o cercare le radici del presente. Radici che sono indispensabili per tentare di progettare un futuro possibile, che consenta ai tanto evocati giovani di dare un peso alle parole, peso di cui in realtà sono gli adulti ad essersi dimenticati, prim’ancora che i giovani possano averlo colto. A proposito dei giovani e dei loro studi, la storia (quasi sempre presentata male, cioè come un insieme di nozioni) si trova in una crisi sempre più profonda, ma non c’è da stupirsene. Come potrebbe essere il contrario se siamo concentrati solo sull’attimo, se la soglia di attenzione di tutti è bassa e se ogni tipo di approfondimento e di riflessione seria necessita proprio di quel tempo che sembra non esserci più?
Ci sono altre domande e considerazioni che ci riportano alla genesi e allo sviluppo del fascismo. Si sente spesso dire che il regime è un periodo ormai da tempo «consegnato alla storia, che appartiene alla storia». Ma, a ben vedere, cosa significano esattamente queste espressioni? Di solito chi si esprime così appare infastidito dall’idea che si possa riparlare del fascismo, quasi fosse un’inutile perdita di tempo affrontare la tragedia che coincise con i lunghi anni del primo totalitarismo in Europa, nato dalla violenza squadrista di una fazione e divenuto in pochi anni violenza di Stato. Questa tragedia si svolse nel nome della cancellazione di ogni forma di pluralismo e di ogni diritto, individuale e collettivo, a vantaggio di un progetto che intese cancellare il liberalismo e, con esso, ogni prospettiva di affermazione della democrazia e del socialismo. Anche di quello riformista (un termine, quest’ultimo, svuotato di ogni senso perché abusato), considerato che Giacomo Matteotti, uno dei socialisti riformisti più determinati e competenti che lottarono per il movimento operaio difendendo fino all’ultimo i deboli e gli esclusi, fu rapito e assassinato proprio per ordine di Mussolini nel 1924.
Ma, verrebbe da osare, il fascismo è finito davvero? E quando? Con la morte di Mussolini e la sconfitta della Repubblica di Salò, alleata di ferro del nazismo e regime collaborazionista nella realizzazione della Shoah? E allora cosa è stato il neofascismo dopo il 1945, nel secondo dopoguerra durante la Guerra fredda, e cosa è oggi, diciamo dai primi anni ’90 del Novecento al 2023? In Italia e fuori, in realtà, non pochi si richiamano con aggressiva nostalgia a un passato violento, illiberale e nazionalista, rifiutando con decisione i valori propri di una democrazia. Più che al fascismo in modo diretto (sarebbe poco furbo per ovvi motivi di opportunità), i leader dell’estrema destra europea, quelli al governo in Italia e i loro alleati nel Parlamento europeo (attivi anche nelle piazze in Spagna, Olanda, Ungheria, Polonia, Germania, Francia e non solo) sono dichiaratamente anti-antifascisti, ostili a ogni idea d’integrazione e di accettazione delle diversità, di fatto insensibili all’europeismo e fieramente sovranisti, intrisi di un populismo aggressivo, nelle proposte politiche come nel linguaggio. Queste pulsioni (che si fa fatica a definire valori, parola che presupporrebbe una reale sostanza concettuale), che sono giornalmente alimentate dai loro imbarazzanti giornali e che si devono associare al nazionalismo più bieco e alle diverse forme (più o meno mascherate) di razzismo e qualunquismo che hanno caratterizzato da sempre l’estrema destra, sono state alla base della profonda crisi del liberalismo tra le due guerre mondiali e del trionfo della violenza di Stato. E oggi rappresentano plasticamente la profonda crisi della democrazia, che non è confinata nel vecchio continente ma che è ben visibile non soltanto in Asia, in Medioriente o in Africa, ma anche negli Stati Uniti (Trump docet) e in Sud America. Javier Milei, neo presidente argentino che sfugge a qualsiasi inquadramento ma che sintetizza bene alcuni dei disvalori a cui si è fatto riferimento, è stato prontamente lodato dai nostri governanti ai quali, forse, bisognerebbe chiedere con maggiore incisività di quanto non si faccia, da parte dell’opposizione e dell’informazione, qualcosa in merito all’utilizzo costante di termini e slogan che nulla hanno a che vedere con la salvaguardia delle libertà e il rispetto per gli altri, in primis per le donne. Basti pensare alle parole violentemente sessiste di un altro leader di riferimento della destra nostrana, l’ex presidente del Brasile Bolsonaro, e a quelle dello stesso Trump, riuscito nell’impresa di essere sotto inchiesta per aver promosso l’assalto al Parlamento del proprio paese subito dopo esserne stato il presidente, rifiutando l’esito di legittime elezioni e, anzi, tentando di rovesciarlo gridando a inesistenti brogli…
Tornando al piccolo ma denso volume di Bobbio, nella prima delle tre prefazioni Bianca Cimiotta (di Antonio Parisella e Pietro Polito le altre due) ha ricordato un frammento di un’intervista rilasciata dall’ex esponente del Partito d’Azione nel 1994 in cui, ricordando il liberale di sinistra Franco Antonicelli, egli spiegava:
Perché vedo i nuovi fascisti. Perché vedo la stessa mentalità, la stessa strafottenza e la stessa volgarità […]. Per me era inconcepibile che il fascismo potesse tornare, a cinquant’anni dalla sua sconfitta. Mi sto ricredendo […]. Non si può andare al di là dell’antifascismo se i fascisti si dimostrano ancora tali […]. Il fascismo rappresenta l’altra Italia. L’Italia incivile.
Il 1994 fu l’anno della schiacciante vittoria elettorale di Berlusconi e della nascita del suo primo governo di coalizione, protagonista Forza Italia affiancata da Alleanza Nazionale-MSI (“sdoganata” dal cavaliere) e dalla Lega Nord. Bobbio, evidentemente, respirava allora un’aria pesante. Non si può dire che dopo trent’anni le cose siano migliorate. Oggi la destra al governo è affiancata da un piccolo partito di centro, proprio Forza Italia, che sembra contare poco se non per coltivare un legame più solido con l’Europa e per mediare tra Fratelli d’Italia e Lega, che ha perso la parola nord, non parla più di secessione, non insulta più il Sud Italia inneggiando al Vesuvio, ma sembra ancor più a destra di prima. Ciò si evince bene dai messaggi dei suoi dirigenti, dalle consolidate alleanze internazionali e dal pieno sostegno dato ai sopra citati leader, che con la democrazia nulla hanno a che vedere.
Bobbio, nel 1975, scriveva che il fascismo «più che anti-ideologico, come amò sin dal principio presentarsi», era stato in realtà «portatore di un’ideologica negativa o distruttiva, dove cioè spiccavano più gli odi che gli amori, dove abbondavano più le negazioni che le affermazioni». Una semplice analisi del linguaggio adottato dai vari partiti della destra populista e sovranista rivela che oggi la propaganda nega i fatti con enorme facilità e che la reiterazione delle bugie crea una narrazione che, nonostante sia destituita di ogni fondamento, diventa la realtà percepita da milioni di persone. Persone che, proprio sulla base di questi messaggi urlati e falsi, si pronunciano senza usare un minimo di logica su temi e questioni centrali per la collettività, votano, insultano in piazza utilizzando parole che ripetono senza conoscerne il significato e senza contemplare la gravità delle loro incredibili affermazioni. Ma non c’è tempo di pensare e di approfondire, meglio “affidarsi” a qualcuno o a qualcosa, come se le scelte politiche fossero più di prima un atto di fede e non il prodotto di riflessioni più o meno ponderate. La confusione e il terrorismo verbale facilitano il trionfo di un’insopportabile retorica e l’efficacia delle varie armi di distrazione di massa. Gli annunci roboanti (e contraddittori tra di loro, gli esempi sono davvero tanti) vengono scambiati da troppe persone per provvedimenti concreti. E se si criticano le tesi e le scelte dei governi si viene tacciati di essere “antinazionali”, questa sì un’associazione del tutto riconducibile al regime fascista (basterebbe leggere qualche giornale del tempo) che inoltre, come ricordava lo stesso Bobbio, si richiamava costantemente all’azione a scapito del pensiero, salvo poi fare e dire tutto e il suo contrario con una rapidità stravolgente.
Il vittimismo è un’altra peculiarità (già vista in passato) della destra post-moderna: se qualcosa non funziona è sempre colpa di chi ha governato prima e dei “poteri forti” (quali esattamente non è dato sapere). L’individuazione di uno o più nemici (interni ed esterni) è strumentale a rifuggire, coraggiosamente, da ogni responsabilità. L’avversario politico è un pericoloso nemico, che non rispetta i governi legittimamente eletti. Anche questo è un falso perché i governi non si eleggono al contrario dei parlamentari, che votano la fiducia all’esecutivo. Ma il premierato potrebbe mettere a posto le cose riducendo, almeno in Italia, il Presidente della Repubblica a un notaio del tutto irrilevante e il Parlamento a un’assemblea chiamata semplicemente a ratificare le decisioni dell’esecutivo e non a scrivere le leggi. Tutto questo scempio nel nome di una finta efficienza e di una presunta rapidità, come se la volontà politica non fosse sempre la variabile centrale per discutere e approvare una legge, come se ci fosse l’assoluta necessità di rivoluzionare la Costituzione nel nome di un modello inutilizzato in ogni parte del globo terracqueo. Se viene caldeggiato solo in Italia, un motivo ci sarà… Del resto la storia, forse da dimenticare anche per questo, ha ampiamente dimostrato che la volontà politica è alla base dell’approvazione di qualsiasi legge e che, soprattutto in presenza di maggioranze schiaccianti, proprio come in Italia oggi, l’eccessivo rafforzamento del potere esecutivo costituisce un elemento di squilibrio dei poteri, altera la dialettica democratica e modifica il meccanismo della rappresentanza, riducendo e non aumentando il peso delle cittadine e dei cittadini, sempre più stimolati a delegare ad altri le loro scelte e non ad essere attori di primo piano nella gestione della cosa pubblica. Così facendo si va verso la rapida affermazione di una democratura, più che verso il rafforzamento della democrazia.
Bobbio, dunque, ci aiuta ancora oggi. Le sue preoccupazioni di ieri, purtroppo, appaiono fondate in quest’epoca, dove la perdita di senso sembra avvicinarci al baratro. Si può fare qualcosa, tuttavia, pensando proprio a chi non si è arreso in tempi assai difficili e cupi. Il pessimismo della ragione non deve spegnere l’ottimismo della volontà. Solo così i giovani, a cui ci si rivolge spesso senza convinzione, potranno forse svegliarci dal nostro torpore.
di Andrea Ricciardi