Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, la Guerra fredda raggiunse probabilmente il suo apice in termini di tensione tra blocco filo-americano e blocco filo-sovietico. Di fronte quel clima, in occasione del 25 aprile 1951, il sesto Anniversario della Liberazione, la FIAP sottolineò la necessità di «vigilare sulle sorti di una sincera democrazia in Italia, difenderla da ogni inquinamento, cioè da ogni fanatismo». Si trattava di un proposito perseguibile soltanto da un’associazione come la FIAP che, sorta «in assoluta indipendenza da ogni vincolo di partito», riuniva al suo interno quei partigiani che già nel corso della lotta resistenziale avevano assunto questo tipo di prospettiva a modello de seguire. [1]
L’obiettivo massimo della FIAP era ben chiaro. Meno limpide erano le modalità da percorrere per conseguire una simile finalità: a differenza di ANPI e FIVL, la FIAP non aveva ancora ottenuto l’agognato riconoscimento giuridico. E non l’avrebbe conseguito negli anni Cinquanta: avviato già nel dicembre del 1949, l’iter subì una brusca frenata nel giugno del 1952, quando il Consiglio di Stato sospese il provvedimento, dato che il bilancio della FIAP non conteneva le entrate necessarie per coprire le uscite previste, un elemento obbligatorio per gli enti morali. [2]
Come possiamo interpretare il parere negativo del Consiglio di Stato? Probabilmente, si poteva intravedere l’atteggiamento generale nei confronti di una comunque significativa esperienza resistenziale. Da parte governativa non si trattava soltanto di delimitare l’azione di una porzione del mondo partigiano: si trattava, di riflesso, di evitare che il mondo azionista, proprio perché rafforzato indirettamente dall’esperienza della FIAP, potesse contribuire all’ampiamento dello scenario politico, un orizzonte che i democristiani stavano cercando di delimitare. [3]
Il panorama non era roseo neppure sul piano politico. Negli anni della Guerra di Corea (1950-1953), la DC cercò ad esempio di scongiurare l’arrivo delle sinistre al Comune di Roma orchestrando l’“operazione Sturzo”, cioè quell’ipotesi di alleanza elettorale larga (dai partiti di governo DC, PSDI, PLI, PRI, fino ai monarchici e neofascisti) che, guidata appunto dall’ex fondatore del PPI, avrebbe dovuto impedire la vittoria dei socialcomunisti.
Anche se l’“operazione Sturzo” non vide mai la luce, essa rappresentò per la FIAP una pericolosa dimostrazione dell’atteggiamento democristiano cui bisognava opporsi. Nell’ottobre del 1952 a Torino, durante il II Congresso nazionale della Federazione, Parri tenne infatti a precisare che la Federazione prestava la massima attenzione all’evolversi di «certe manifestazioni fasciste». Secondo “Maurizio”, pur in presenza di un movimento comunista internazionale aggressivo e di alcune strutture paramilitari riconducibili al PCI, non si sarebbe comunque dovuto «combattere il comunismo con il fascismo». Pertanto, mantenendo fede ai suoi principi statutari, la FIAP avrebbe preso posizione a favore di «una patria libera» all’interno di «un mondo libero». [4]
Le argomentazioni adoperate da Parri riflettevano non soltanto l’atteggiamento dei reduci giellisti nel corso della prima legislatura, ma anche – e logicamente – la tendenza degli ambienti governativi a delimitare il cosiddetto “pericolo rosso” prevedendo il ricorso, qualora necessario, ad alleanze con i neo-fascisti e con le forze più conservatrici. Rispetto all’atteggiamento assunto dal governo, per la FIAP si doveva comunque lottare contro qualsiasi tentativo di riabilitazione del fascismo: per questa ragione, si decise di sostenere il sindaco di Milano, il socialdemocratico Virgilio Ferrari, quando quest’ultimo, a fronte di un suo rifiuto alla richiesta del gruppo consiliare missino di commemorare Rodolfo Graziani, [5] venne duramente attaccato dai consiglieri comunali del Movimento sociale italiano. [6]
Dopo il ruolo centrale giocato dalla FIAP nella battaglia contro la “legge truffa”, cioè la rivisitazione in senso maggioritario voluta principalmente da De Gasperi della legge elettorale, nel 1955 la Federazione di Parri fu protagonista, con ANPI e FIVL, del Decennale della Resistenza. Le tre associazioni partigiane decisero così di convocare, il 16 aprile 1955 a Torino, il convegno del Decennale della Liberazione. Inserito all’interno di una vasta operazione culturale non governativa volta ad indagare lo sviluppo della democrazia italiana a seguito della Seconda guerra mondiale, [7] il convegno fu un momento cruciale per due ragioni diverse e al tempo stesso intrecciate tra loro. Anzitutto, dopo una stagione di complicati rapporti, agli ex combattenti, come chiarì lo stesso Parri a chiusura dell’assemblea, serviva «ritrovare nelle ragioni ideali dello sforzo comune e concorde di ieri la validità e giustificazione per una opera nuova comune di salvaguardia e difesa delle basi del […] regime democratico». [8] In secondo luogo, fu anche una risposta alla strategia governativa volta ad offuscare la stagione resistenziale in nome dell’anticomunismo: nei primi anni Cinquanta, soltanto a rievocare la Resistenza si rischiava di venire «accusati di rappresentare gli utili idioti del movimento comunista». [9] Del resto, si era pur sempre in una fase storica in cui, proprio in occasione del Decennale della Liberazione, il Ministro della Pubblica Istruzione, il democristiano Giuseppe Ermini, invitava tutte le scuole superiori d’Italia a celebrare in quel giorno non tanto la riconquistata libertà dopo il ventennio fascista e la fine della Seconda guerra mondiale, quanto la nascita di Guglielmo Marconi. [10]
[1] 25 aprile 1945 – 25 aprile 1951, in Archivio Istituto Nazionale Ferruccio Parri, Milano, Fondo FIAP Nazionale, serie 13 – Celebrazioni e commemorazioni, fascicolo 1.
[2] Cfr. Consiglio di Stato, Milano: Federazione Italiana Associazioni Partigiane (FIAP) – Riconoscimento personalità giuridica, 3 giugno 1952, ibidem.
[3] Cfr. A. Lepre, L’antifascismo e l’anticomunismo in Italia, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 122.
[4] Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane, 2° Congresso nazionale: Torino, 19 ottobre 1952, Palazzo e Teatro Carignano, Impronta, Torino, 1952, p. 12.
[5] Cfr. La scandalosa tolleranza delle autorità incoraggia le provocazioni dei fascisti, “Avanti!”, 23 gennaio 1955.
[6] Lettera di Marco De Meis a Virgilio Ferrari, Milano, 19 gennaio 1955, in Archivio Istituto Nazionale Ferruccio Parri, Milano, Fondo FIAP Nazionale, serie 7 Corrispondenza, busta 1, fascicolo 7.
[7] Cfr. Dieci anni dopo. 1945-1955: saggi sulla vita democratica italiana, Laterza, Bari, 1955.
[8] Resoconto del Convegno del Decennale della Liberazione, Roma, 20 aprile 1955, in Archivio Istituto Nazionale Ferruccio Parri, Milano, Fondo FIAP Nazionale, s. 7 Corrispondenza, b. 1, fasc. 7.
[9] R. Battaglia, La storiografia della Resistenza. Dalla memorialistica al saggio storico, “Movimento di Liberazione”, n. 57, 1959, p. 97.
[10] Cfr. G. De Luna, La Repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Feltrinelli, Milano, 2011, p. 43.