Leila El Houssi, L’Africa ci sta di fronte. Una storia italiana: dal colonialismo al terzomondismo, Carocci, Roma, 2021.
Wole Soyinka, primo premio Nobel africano per la letteratura nel 1985, in un’intervista rilasciata a Marco Aime sulla rivista Africa, osserva:
L’Africa non è mai stata scoperta, ma è stata inventata, in senso “buono” e cattivo. È spesso stata vittima di costruzioni fatte dall’Occidente e spesso definite per ciò che manca: popoli senza storia, senza Stato, senza scrittura. A questo proposito si parla spesso di tradizione orale, ma è proprio così? In realtà la tradizione orale non è mai puramente orale, bensì teatrale. Anche nei villaggi, chi racconta non si limita a parlare, usa il corpo, l’espressione del viso, si muove. Anche qui però si è spesso vittime delle classificazioni: se io scrivo una commedia per la radio, è orale o scritta? I generi non sono sempre definiti in modo netto.
Oltre all’interessante osservazione sulla storia orale, l’immagine dell’Africa mai scoperta sembra riguardare anche l’Europa, pur se la costa sud e la costa nord dei due continenti, bagnati dallo stesso Mar Mediterraneo, sono talmente vicine che Tunisi, la capitale della Tunisia, è più vicina a Roma di qualsiasi altra capitale europea.
Il 7 marzo scorso, presso la Casa della Memoria e della Storia di Roma, è stato presentato il libro di Leila El Houssi, docente di Storia e istituzioni dell’Africa presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’università di Roma. Insieme a lei, Bianca Lami, vicepresidente della Fiap, che ha introdotto la serata ed ha sottolineato l’attualità dell’argomento. All’incontro, organizzato dalla stessa Fiap e dal Gruppo Storia dell’Associazione Amore e Psiche, oltre a chi scrive ha partecipato Marta Bonafoni, Consigliera della Regione Lazio. Nel pubblico, folto e attento, la scrittrice italiana Igiaba Scego, autrice di numerosi libri, tra cui l’ultimo Cassandra a Mogadiscionel quale analizza, attraverso la sua dimensione di ragazza e giovane donna, l’esperienza di chi è nato in Italia da una famiglia di origine somala, che ha conosciuto il colonialismo prima e poi il difficile e spesso drammatico percorso della decolonizzazione. Ha partecipato anche Sonia Gallico, autrice del recente Il delitto Miceli, fatto politico avvenuto a Tunisi nel 1937 che racconta come i fascisti, anche all’estero, abbiano saputo dar prova della loro violenza. La famiglia Gallico per tre generazioni è stata presente in Tunisia, nella folta e socialmente integrata comunità italiana. A cominciare dal padre dell’autrice, Loris Gallico, che si è dedicato alla politica con passione e impegno disinteressato e ha fondato a Tunisi il giornale L’italiano di Tunisi, pubblicato tra il 1936 e il 1940. In quegli anni drammatici, il quotidiano è stato una voce antifascista importante, con risonanze in tutta Europa. Nel racconto della Gallico, colpisce la partecipazione con cui i nostri connazionali, in quella che era considerata “la quarta sponda”, vivevano la politica, dove il pensiero e l’azione erano strettamente legati ad ideali di umanità. Basti ricordare Maurizio Valenzi, nato a Tunisi, poi arrivato in Italia e sindaco mai dimenticato di Napoli dal 1975 al 1983.
Tornando al libro di Leila El Houssi, fluido e di appassionante lettura, come si legge nell’introduzione, esso è rivolto ai giovani e nasce “all’indomani del delicato dibattito sulla rimozione delle statue … grazie al movimento Black lives matter”. Viene citato, tra gli altri, Claudio Pavone che ricordava, alle nuove generazioni, l’importanza della conoscenza per essere sempre più responsabili delle proprie azioni. In alcune interviste, l’autrice ha dichiarato di considerarsi fortunata di essere italo-tunisina, avendo raccolto dalla famiglia paterna la memoria del colonialismo e del periodo della decolonizzazione. Usando la memoria di famiglia, Leila El Houssi ha poi effettuato ricerche approfondite in vari archivi, tra cui l’Archivio storico del Ministero degli Esteri, la Fondazione Nenni e l’Archivio storico della Presidenza della Repubblica.
Il libro è composto da quattro capitoli, a loro volta divisi in paragrafi di approfondimento. Il primo, L’Italia: un percorso coloniale, ricostruisce la storia del colonialismo del XIX secolo mentre i principali paesi europei, ormai potenze industriali, guardavano con nuovo interesse al Mar Mediterraneo, dopo l’apertura del Canale di Suez nel 1869. L’importante opera d’ingegneria consentiva di evitare la ben più lunga circumnavigazione dell’Africa. Intanto, in Italia, negli ultimi decenni dello stesso XIX secolo, la necessità di risolvere i problemi della povertà spingeva ad emigrare e, logicamente, risultava molto più facile raggiungere le terre della cosiddetta quarta sponda rispetto a quelle del continente americano.
Nel 1881, in Tunisia, la presenza degli italiani è maggiore rispetto a quella di qualsiasi altra comunità ma con accordi internazionali il paese diventerà protettorato francese, con quello sarà definito in Italia, lo schiaffo di Tunisi. Però la comunità italiana non viene emarginata e questa unione di gruppi diversi consente alla Tunisia di diventare terra vivace e cosmopolita, e soprattutto, quando il nazifascismo occuperà quasi tutta l’Europa, zona di resistenza e di antifascismo; anche se la presenza di frotte di spie rivela l’interesse del regime fascista per quella terra e che una parte della popolazione italiana è legata al duce e alla dittatura. Nei capitoli secondo e terzo, intitolati rispettivamente Dalla lunga notte della colonizzazione alla luce dell’indipendenza e Ponti da costruire? Il nuovo sguardo dell’Italia verso l’Africa tra gli anni Cinquanta e Sessanta, viene raccontata la crudeltà della colonizzazione che rivela come la narrazione degli “italiani brava gente” alla prova dei fatti storici, secondo le scoperte avviate da Angelo Del Boca, sia una creazione “immaginaria”. Le violenze subite dalla popolazione locale sono terribili, il razzismo verso le popolazioni locali è un’anticipazione delle leggi razziali emanate nel 1938. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’Italia nel 1947, con il trattato di Parigi, perde tutte le colonie. Solo per la Somalia viene accettato un “mandato fiduciario” della durata di 10 anni, approvato nel 1949 con risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu, anche se l’Italia non ne faceva ancora parte. Nel quarto ed ultimo capitolo dal titolo L’Africa e il Quirinale negli anni Sessanta, l’autrice approfondisce quello che succede dopo il 1947. Il rapporto tra l’Italia e le ex colonie si sviluppa diversamente dalla decolonizzazione degli altri paesi europei, come la Francia verso l’Algeria o la Gran Bretagna. A questo riguardo, politici come La Pira, Fanfani e le istituzioni e le figure più importanti, dalla Presidenza della Repubblica ai ministri degli Esteri, aprono un processo per cui l’altro, cioè l’Africa, è quasi un interlocutore alla pari.
La Pira organizza i Colloqui Mediterranei nel 1958, dopo incontri con il Re del Marocco Maometto V. Il loro scopo “ufficiale” era quello di ricercare le comuni radici culturali tra i popoli del Mediterraneo. Gli incontri facevano parte di una diplomazia informale che in quegli anni nacque proprio a partire da Firenze. Con il pretesto di eventi di carattere culturale si avviavano contatti non ufficiali. Fondamentale la presenza di personaggi come il presidente poeta del Senegal, Leopold Sedar Senghor, che sottolineava l’importanza della comunione tra i popoli e, come scrive Leila El Houssi, individuava
proprio nella dimensione culturale … il perno per la costruzione del dialogo tra i popoli, che derivava dal presupposto che per porsi nella condizione di un rapporto dinamico e costruttivo con un’altra cultura, occorre[va] innanzitutto essere consapevoli dei valori e dei limiti della propria ed essere capaci, senza rinunciare naturalmente all’originaria fondamentale radice, di operare una specie di completo svuotamento, una messa tra parentesi di ogni pregiudizio.
Parole profonde, tanto da chiedersi come e quando si sia persa questa dimensione di interesse verso l’altro. Ma forse è più giusto proporre, proprio pensando ai giovani di oggi, che se è stato possibile raggiungere negli anni Sessanta questa possibilità, si può auspicare che questa dimensione possa ritornare, magari avendo il coraggio di una “torsione politica” in cui non valgano solo il raggiungimento di profitti, o l’affermazione della superiorità di un popolo su un altro, per riscoprire, invece, il senso e il significato di umanità universale.
di Sonia Marzetti