Nella sede milanese dell’Umanitaria di via Daverio, Riccardo Bauer organizzò per gli studenti universitari e medi un ciclo di incontri sulle radici della Repubblica italiana per capire fino in fondo lo spirito resistenziale e antifascista del nostro Paese. La lezione magistrale del 26 gennaio 1955 di Piero Calamandrei tracciò con chiarezza le ragioni di una guerra di Resistenza nella duplice avversione al regime fascista ed alla invasione nazista della nostra penisola – Operazione Alarico – nel settembre del 1943.

Un Secondo Risorgimento – sottolineava Calamandrei  riprendendo la frase dello storico Luigi Salvatorelli – che  servì a cacciare lo straniero e a sconfiggere il fascismo nostrano di Benito Mussolini il quale per 20 anni aveva tolto la libertà di espressione, abolito la stampa libera e le istituzioni democratiche-liberali. Le norme fondamentali della Carta Costituzionale del 1948 secondo l’illustre giurista fiorentino avevano forti radici nel sangue dei partigiani combattenti, torturati e uccisi. Il nodo dell’articolo 11 della Costituzione – che in questi giorni sta suscitando polemiche e discussioni per la guerra Russo-Ucraina – Calamandrei lo affrontò con semplicità spiegando le ragioni di una guerra giusta di difesa contro l’aggressione esterna. Guerra di popolo secondo Ferruccio Parri capo dei partigiani, eroe di Vittorio Veneto. Leo Valiani – che lo aveva accompagnato in Svizzera nel 1944 per parlare con gli alleati americani – rimase ammirato da queste parole coraggiose. Come dire. “Ci pensiamo noi italiani a liberarci dal tallone straniere”. Insomma, la lezione di Giuseppe Mazzini albergava nel suo cuore.

Alfredo Pizzoni – presidente del Comitato di liberazione alta Italia anche lui medaglia d’argento della Prima guerra mondiale – si adoperò per finanziare la guerra partigiana chiedendo il sostegno soprattutto agli industriali italiani antifascisti e ottenendo ampio credito dagli Alleati. Solo così si riuscì a nutrire e ad armare i Partigiani che nella primavera del 1945 liberarono le grandi città del Nord prima dell’arrivo degli anglo-americani.

Il fascismo fin dai primi esordi squadristici negli anni ’20 dello scorso secolo, aggredì le popolazioni della Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige con l’intento di distruggere la cultura delle minoranze linguistiche di quelle regioni. Mussolini invase Paesi indipendenti come l’Etiopia nel 1935 e poi l’Albania e la Grecia. Ovviamente guerre ingiusta di rapina territoriale. Crimini di guerra con uso di armi chimiche in Etiopia mai indagati abbastanza. Ecco perché è nata l’espressione nella nostra Carta del ripudio di una guerra di invasioni di altri popoli. Ciò per evitare il ripetersi della sopraffazione della Nazione più forte contro quella debole.

Ritornando alla lezione di Piero Calamandrei (tra i fondatori nel 1949 della Fiap) senza una guerra di Liberazione non avremmo avuto un Paese democratico. Il regime fascista aveva impedito ai cittadini di pensare con la propria testa per lunghi anni, imponendo scelte che portarono alla rovina di una guerra mondiale.

Il primo atto resistenziale italiano fu una espressione di libero pensiero. Nel 1942 Adolfo Tino e Ugo La Malfa scrissero un articolo e lo consegnano a Enrico Cuccia che prudentemente lo aveva nascosto nei risvolti di una giacca. Questa lettera dal Portogallo arrivò negli Stati Uniti e fu pubblicata sul New York Times. I due intellettuali comunicavano al mondo libero che gli italiani la pensavano diversamente da Mussolini e l’avrebbero combattuto fino alla vittoria. Il 25 aprile 1945 a Milano ci fu la battaglia finale che cacciò nazisti e fascisti dalla città. Fu evitato lo spargimento di sangue ulteriore di innocenti grazie al Comitato di Liberazione di Parri e al Cardinale Schuster. Dopo la guerra la pace nel nostro Paese è durata e dura da 77 anni finalmente liberi in un nuovo ordine democratico.

di Filippo Senatore, Direttore della rivista Lettera ai Compagni

Loading...