Illustrazione di ©Massimo Jatosti

Tra le conseguenze dell’8 settembre, vi fu quella di far accettare agli italiani che la guerra, in realtà, sarebbe continuata e, con essa, i bombardamenti degli Alleati. La resa annunciata da Badoglio, infatti, non avrebbe portato i tedeschi a ritirarsi dalla Penisola né, e lo si vide chiaramente con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, la maggior parte dei fascisti a mettere in discussione le folli scelte compiute da Mussolini al fianco di Hitler. Anzi, per certi aspetti, il peggio doveva ancora venire, considerate le numerose stragi perpetrate a danno dei civili, la collaborazione dei repubblichini alla Shoah e le terribili torture inflitte ai giovani partigiani durante i venti mesi di una guerra civile destinata a lasciare tracce indelebili, soprattutto in alcune aree del Paese. Nasceva il Regno del Sud, la monarchia (fino ad allora complice delle peggiori nefandezze del fascismo) rimaneva in piedi e, in modo paradossale ma comprensibile guardando al quadro complessivo delle operazioni  militari e alle priorità degli Alleati, rappresentava l’interlocutore privilegiato per gli inglesi.

È interessante riproporre oggi, sia pure in parte, un documento significativo: il messaggio di Radio Londra del 9 settembre 1943, letto dal celebre colonnello Stevens e finalizzato a far comprendere alla popolazione italiana che gli inglesi (e gli Alleati) combattevano contro il nazifascismo e non consideravano i civili alla stessa stregua dei vertici del fascismo, che nei giorni successivi avrebbe ripreso forma proprio con la RSI, come il regime di Vichy in Francia uno stato satellite della Germania nazista a sovranità (molto) limitata.

Anche fuori d’Italia vi sono molti che comprendono il sollievo e la pena, la gioia e l’amarezza che oggi si mesco[la]no nell’animo degli italiani, e partecipano a questi sentimenti. In Italia ci si rende conto che la Gran Bretagna sta per riportare con i suoi alleati la vittoria definitiva contro il nemico comune. In Gran Bretagna si assiste con profonda simpatia alla lotta vittoriosa degli italiani contro il nemico e si [sic] augura che dalle presenti difficoltà possa veramente rinascere e consolidarsi un’Italia liberale, collaboratrice indispensabile delle nazioni europee. Tanto l’Italia quanto la Gran Bretagna hanno molte ferite da sanare, molte cicatrici da far scomparire prima che torni a regnare fra i nostri due popoli l’atmosfera di cordiale e serena convivenza che caratterizzò i loro rapporti nel passato. Tanto per la Gran Bretagna che per l’Italia vi sono ancora gravi difficoltà da superare ed una lunga e dura via da percorrere. Ma ormai le nostre mete sono identiche – non siamo più nemici. Superiamo insieme queste difficoltà: questa lunga e dura via, percorriamola insieme.

È evidente come, in una fase immediatamente precedente allo sviluppo della Resistenza armata di civili e militari (viene in mente il film del 1960 Tutti a casa di Luigi Comencini che restituisce appieno lo smarrimento dell’esercito che, privo di ordini precisi da parte di Badoglio e del re, sbandò drammaticamente), la BBC puntasse – in linea con le istanze di Churchill e sotto il controllo dei servizi segreti – alla rinascita dell’Italia liberale e non certo a una rivoluzione democratica che modificasse alla radice gli assetti socio-economici del Paese, favorendo una radicalizzazione delle istanze delle masse e una crescita dell’influenza delle sinistre rispetto alle forze antifasciste moderate. I programmi di Churchill e dei conservatori inglesi e italiani non si tradussero del tutto in pratica, ma l’amara sensazione di un’occasione mancata rimase in molti militanti e dirigenti politici antifascisti pure dopo la proclamazione dell’insurrezione il 25 aprile 1945 da parte del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI, riconosciuto dal dicembre 1944 come governo del Nord da quello di Roma e dal comando alleato) e la Liberazione. Anche se la svolta di Salerno promossa da Togliatti nell’aprile 1944 portò tutte le forze del CLN a sostenere Badoglio e a rimandare definitivamente la “resa dei conti” sulla questione istituzionale a dopo la fine della guerra, la rivoluzione democratica caldeggiata dal Partito d’Azione e incentrata sui CLN come organismi di base del nuovo Stato post fascista non si affermò con i governi Bonomi durante la parte finale del conflitto, né con l’esecutivo guidato da Parri (affossato dal PLI e dalla DC), il primo dopo la conclusione della guerra. Nonostante la nascita della Repubblica democratica e l’elaborazione della Costituzione, fondamentali cesure storiche (anche per il presente) pagate a carissimo prezzo, il ricambio delle classi dirigenti fu molto parziale; l’epurazione si tradusse in una grande illusione; l’amnistia alimentò equivoci sulle ragioni dei vinti e dei vincitori ma, soprattutto, rimase nel Paese un retrogusto di fascismo che sarebbe emerso in modo prepotente durante le diverse fasi della Guerra fredda in funzione non solo anticomunista e antisocialista ma anche antidemocratica, indebolendo il riformismo di governo in settori chiave della vita pubblica e rendendo fragili le fondamenta del nuovo Stato. Una democrazia nata grazie alla Resistenza e al determinante contributo degli stessi anglo-americani i cui vertici politici tuttavia, per le ambigue logiche insite nella Guerra fredda (strettamente legate all’atteggiamento aggressivo dell’URSS), ne frenarono lo sviluppo nei successivi decenni condizionando a fondo gli equilibri politici e i vari quadri di governo (a cominciare da quello centrista delle prime due legislature), pur evitando che l’incubo di un nuovo fascismo diventasse realtà.

di Andrea Ricciardi

 


La prima pagina de La Stampa del 9 settembre 1943

  La prima pagina del Corriere della Sera del 9 settembre 1943

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