La scomparsa di Ruffolo lascia un grande vuoto in chi l’ha conosciuto e, più in generale, nello scenario politico-culturale italiano anche se in pochi, al suo interno, nell’arida era dell’attimo possono comprendere quanto egli sia stato importante per la storia dell’Italia repubblicana. Il suo animo gentile e il suo dolce sorriso si accompagnavano a una ferrea determinazione, figlia della fiducia nelle idee di cui, durante la sua lunga vita, si fece portatore e che, mostrando sempre grande autoironia e autonomia di giudizio, seppe mettere in discussione pur rimanendo saldamente ancorato a valori quali l’antifascismo e il socialismo, inteso come tensione ideale unita a un riformismo forte e non come dogma ideologico né sterile dichiarazione d’intenti. Giovane rivoluzionario trockijsta nel Partito socialdemocratico; funzionario dell’ENI di Mattei con il suo amico Mario Pirani; militante (e poi dirigente) del PSI, critico verso Craxi fin dalla fine degli anni Settanta quando lo stesso Ruffolo fu centrale nel dibattito avviato su «Mondoperaio» dopo la segreteria di De Martino; programmatore durante il primo centro-sinistra al fianco di Antonio Giolitti e parte del gruppo dei “lombardiani”; parlamentare in Europa e in Italia; due volte ministro dell’Ambiente; critico verso il PCI ma sempre aperto al dialogo; nel PDS e nei DS dopo la fine della Guerra fredda e lo sgretolamento del PSI dopo Tangentopoli, convinto di dover e poter dare un contribuito alla riorganizzazione della sinistra da cui, anche nel nuovo millennio, mai si staccò esprimendo forti perplessità sulla genesi e lo sviluppo del Partito Democratico.
Tuttavia Ruffolo, anche quando s’impegnò concretamente nei diversi ambiti ricordati, mostrando pure notevoli doti di organizzatore, fu soprattutto un intellettuale di enorme spessore, mai rassegnato alla mera accettazione del presente nel nome della governabilità né indifferente alle diseguaglianze sociali e alle sorti dell’ambiente. È per questo che, pur non volendo di certo cancellare il mercato per legge (come ricordava provocatoriamente), continuò a mettere in discussione il capitalismo e, in particolare, la sua finanziarizzazione sostenendo la salvaguardia del ruolo dello Stato e del pubblico (comunque da rinnovare) rispetto al privato. La costante volontà di approfondire il passato era per lui connessa con l’esigenza di guardare con coscienza e senso critico al presente e al futuro, anche se la sua lucidità lo obbligava a fare i conti con il pessimismo della ragione, senza però perdere l’ottimismo della volontà.
Nel 2000 mi rilasciò una lunga intervista intitolata Centrosinistra anni sessanta. Le avanguardie sconfitte, pubblicata su «il Ponte» (3/2000, pp. 89-113). In questa sede, tra l’altro, partendo dall’idea che aveva del pensiero di Riccardo Lombardi all’epoca del primo centro-sinistra, sostenne:
il capitalismo è una forma storica dell’economia di mercato che non necessariamente rimarrà immobile nel tempo. Accettare la fase storica che attraversiamo non significa che non vi saranno mai altri sbocchi. Del resto l’economia di mercato c’era prima del capitalismo, pensiamo per esempio all’economia mercantile descritta da Braudel o all’assetto di alcune società non occidentali caratterizzate da un’economia di mercato non capitalistica, e ci potrà essere anche dopo un’eventuale evoluzione del capitalismo stesso in qualcosa di diverso da ciò che è oggi. Nel terzo settore si può benissimo utilizzare il mercato senza che ci sia accumulazione e produzione per il profitto.
Quasi un quarto di secolo dopo, in realtà, non sembra che le cose siano migliorate. Il titolo di un suo volume Einaudi del 2008, Il capitalismo ha i secoli contati, indica che Ruffolo non si faceva grandi illusioni sul futuro prossimo ma che non intendeva certo rinunciare al sogno di un diverso mondo possibile. Sogno senza il quale è sostanzialmente impossibile incidere sulla realtà e cambiarla in concreto, come Ruffolo tentò sempre di fare con la sua forza tranquilla e la sua contagiosa vitalità.
di Andrea Ricciardi