Se guardiamo alla Resistenza italiana come alla riscossa del popolo contro la dittatura e alla lotta di liberazione dal nazifascismo come all’ultima fase della guerra civile, allora dobbiamo domandarci come questo processo si sia generato, quali politiche lo abbiano determinato, quale lavoro clandestino lo abbia preparato.

Se il Ventennio storicamente inizia con la marcia su Roma e la Resistenza comincia ufficialmente subito dopo l’Armistizio, il periodo compreso tra quelle due date è necessariamente da identificare con il lavoro politico clandestino degli antifascisti italiani che hanno preparato la lotta di liberazione.

Se parliamo del campo socialista, la lotta antifascista si esprime in un primo momento con l’adesione alle posizioni di Giustizia e Libertà ossia al movimento liberal-socialista fondato clandestinamente a Parigi nel 1929 da Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Alberto Tarchiani, Alberto Cianca e Fausto Nitti e di cui fecero tanti altri valorosi. Se quello è stato un movimento di fondamentale importanza per la formazione di una cultura antifascista e ha contribuito a formare in Francia l’ossatura della Concentrazione antifascista che è stata un laboratorio di idee dell’emigrazione politica ma che ad un certo momento entra in crisi nel suo puntare ad una rivoluzione in tempi relativamente brevi per ribaltare il regime fascista che, al contrario si struttura, mette radici nella società e colpisce coi molti arresti chi vi si oppone.

Sul ruolo di Carlo Rosselli in Giustizia e Libertà, sull’importanza dei suoi scritti e della sua teoria, sulla tragica fine sua e di suo fratello Nello per mano dei sicari del Fascismo, sull’importanza e sulla rilevanza storica di Giustizia e Libertà e delle sue Brigate sono stati scritti giustamente fiumi di inchiostro, ma io credo sia utile cercare di fare luce anche su un’altra esperienza importante degli anni Trenta per le premesse del suo discorso teorico e le conseguenze di una pratica differente di lotta politica in Italia.

Il 1934 e il “nuovo fronte”

L’anno chiave in cui avviene il cambio di rotta dell’antifascismo socialista e l’inizio della sua riscossa è il 1934, come ha ricostruito molto bene Santi Fedele[1], perché se da un lato le masse lavoratrici socialiste e comuniste a febbraio avevano manifestato insieme in Francia contro le minacce eversive della destra, dall’altro la normalizzazione del sistema fascista in Italia col superamento della fase più acuta della crisi economica e la riduzione del numero dei disoccupati, faceva avvertire tutti i limiti della Concentrazione antifascista che si sarebbe sciolta quello stesso anno e avrebbe portato Giuseppe Faravelli per primo dalle colonne del «Nuovo Avanti!» a lanciare la parola d’ordine del nuovo fronte, ossia la ricostituzione clandestina del Partito socialista in Italia. Su questo obiettivo decide di lavorare la direzione del PSI all’estero e su questo preciso obiettivo si forma il Centro socialista interno che viene costituito a Milano nell’estate del 1934 per iniziativa di Rodolfo Morandi e di un gruppo di compagni. Si apre un confronto costruttivo tra i socialisti della precedente generazione ora in esilio a tenere in vita la struttura, gli organi direttivi del partito all’estero e la nuova generazione che si pone l’obiettivo di riannodare quel filo sul territorio italiano. Lo strumento del confronto dialettico tra queste due esperienze sarà la rivista «Politica Socialista» che inizia ad essere pubblicata a Parigi dall’agosto di quell’anno.

Scrive Stefano Merli in un suo libro:[2] Il ’34 segna non solo un arresto dell’attività di GL, ma una vera e propria crisi dell’antifascismo aclassista e d’élite. La nuova generazione non riconosce più in GL quel movimento che aveva sperato capace di superare le tare della vecchia organizzazione, non vi vede soprattutto un nucleo di pensiero omogeneo e operante che sia sorto, come ambiva, dalla sintesi del pensiero marxista e di quello democratico, termine questo troppo generico e stanco nella significazione usuale.

Il 1934 è anche l’anno del riavvicinamento dell’Internazionale comunista all’Internazionale socialista. Le forze della sinistra decidono di riunirsi: in Francia i socialisti della SFIO (Sezione Francese dell’Internazionale Operaia) e il PCF (Partito Comunista Francese) stipulano un patto di unità d’azione.

Il 17 agosto dello stesso anno– dice Aldo Agosti in un suo saggio su Morandi [3] Pci e Psi siglano un patto analogo. Il testo dell’accordo riconosce che persistono «divergenze fondamentali di dottrina, di metodo e di tattica» che si oppongono ad una fusione organica : nondimeno i due partiti stabiliscono una linea comune per la lotta contro le minacce di guerra, per strappare alle prigioni le vittime  del Tribunale speciale, per la difesa e il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, per la libertà sindacale e la libertà di organizzazione, di stampa e di sciopero; e si impegnano a coordinare azioni comuni in vista di quegli obiettivi e a «spianare la strada in ogni paese a una politica d’unità d’azione».

I giovani socialisti che si impegnano a ricostruire il partito in Italia, hanno visto l’affermazione del Fascismo e vogliono trovare il modo di capirne gli ingranaggi per farlo crollare dall’interno, ritrovando un rapporto con la classe operaia, elaborando una nuova strategia. Sono cresciuti negli anni dal 1924 al 1926, cioè quando il movimento operaio organizzato viene liquidato definitivamente, hanno voluto superare la lettura di Marx della generazione precedente e guardano al futuro: oltre a Marx hanno letto Kautsky, la Luxemburg, Bauer, Lenin, hanno collaborato alle riviste di politica e cultura come «Rivoluzione liberale», «Quarto Stato», «Pietre».

Nel 1933 sulle pagine dei «Quaderni di Giustizia e Libertà» il giovane Lelio Basso, dietro uno pseudonimo, aveva denunciato i limiti di quell’impostazione antifascista e ne aveva proposto il superamento:[4] La crisi continuata e le ultime manifestazioni di forza del Regime- che attraversa oggi indubbiamente il suo momento più felice- ci impongono di seguire un’altra strada. Non possiamo illuderci fidando in rivoluzioni prossime e non possiamo lavorare per l’imprevedibile. Il fascismo durerà e noi dobbiamo compiere un’opera lunga e lenta di penetrazione di idee e di rieducazione morale soprattutto fra i giovanissimi.

La nascita del Centro socialista interno

Una sera d’estate del 1934 a Milano, [5] in via Telesio, in una riunione clandestina, un gruppo di compagni socialisti decide di dare vita ad un percorso nuovo in una struttura che si faccia carico della crisi del movimento operaio e dei suoi partiti, superando i limiti degli schieramenti esistenti, creando una politica nuova per il proletariato italiano. Era nato il Centro socialista interno, ossia il più importante tentativo in Italia, nel periodo tra le due guerre mondiali, di rinnovamento del pensiero e dell’azione socialista, come afferma Andrea Panaccione in un suo recente studio.[6]

I nomi erano quelli di vecchi organizzatori del Partito socialista come Domenico Viotto e Umberto Recalcati, delle nuove leve intellettuali come Lucio Luzzatto, Lelio Basso, Rodolfo Morandi, Bruno Maffi, Eugenio Colorni ed Eugenio Curiel, accanto ad una componente operaia.

Per comprendere quel periodo è ancora fondamentale l’approfondimento di Aldo Agosti della figura e dell’opera di Rodolfo Morandi, risalente al 1971[7], ancora utili i due volumi di scritti di Eugenio Curiel curati da Franco Frassati nel 1973 [8] o il suo profilo tracciato da Nando Briamonte nel 1979 [9], la raccolta di scritti di Eugenio Colorni del 1975 [10], i più recenti profili biografici di Eugenio Colorni (quello curato da Maurizio Degl’Innocenti nel 2010 [11] e quello curato da Antonio Tedesco nel 2014 [12]) e di Lelio Basso, curato da Chiara Giorgi nel 2015 [13], che trattano l’argomento in poche pagine o alcuni passaggi della poderosa «Storia e problemi del socialismo italiano» edito da Marsilio tra il 1968 e il 1980. Sulla nascita del Centro socialista interno, si può dire però che l’unico vero ed ancora valido punto di riferimento per tutti gli studiosi del socialismo italiano negli anni della clandestinità resti il poderoso saggio di Stefano Merli «La rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo dal 1934 al 1939» uscito per la prima volta nel 1963 con una grande quantità di documenti di prima mano provenienti dall’archivio Angelo Tasca [14] e poi ripubblicato nel 1975 con un’antologia degli stessi scritti integrati con altri approfondimenti [15].  Accanto a questi, merita sicuramente una menzione il rinnovato interesse per il gruppo di Morandi dimostrato dal recentissimo studio di Andrea Panaccione del 2015, già citato, e soprattutto dallo studio approfondito di Fabio Florindi uscito in questi giorni nella collana della Fondazione Nenni, [16]  che, pur basandosi sugli studi di Merli e di Agosti, arricchiscono con nuove fonti le ricerche storiche sull’argomento, aprendo a nuove indagini. In particolare, il contributo di Panaccione risulta essenziale nel rintracciare le linee guida dell’elaborazione morandiana degli anni Trenta ed il rapporto tra la sua elaborazione nel Centro socialista interno e la sua personale elaborazione teorica dell’immediato dopoguerra, mentre Florindi è essenziale, fra le altre cose, nel riannodare con chiarezza i fili della seconda fase della struttura messa in piedi da Morandi, dopo il suo arresto nel 1937 e nel definirne la nuova impostazione datale da Eugenio Colorni e poi da Eugenio Curiel.

Il Centro Interno Socialista muoveva dal rifiuto della frattura del movimento operaio determinatosi nel 1921, si richiamava ai motivi della critica comunista alla socialdemocrazia, poneva in termini del tutto nuovi l’impostazione dell’azione socialista. Nel 1936 gli scritti di Morandi e i documenti del Centro Interno che sono opera sua e tutti comunque riflettono il suo pensiero, ribadiscono e portano avanti l’indirizzo di rinnovamento e l’impegno unitario. Così ricordava uno dei protagonisti di quell’esperienza, Lucio Luzzatto, all’inizio degli anni Settanta.[17]

Sull’importanza di una nuova rilettura della scissione di Livorno dopo il 1934 in quella generazione di socialisti è importante anche rileggere uno studio di Simona Colarizi[18] che parla proprio del punto di vista di Morandi nel 1936 sull’argomento: se da un lato lui giustifica solo da un punto di vista storico Livorno, leggendola come il riflesso meccanico degli avvenimenti russi, dall’altro afferma che la scissione era stata una reazione superficiale all’incapacità di offrire una risposta adeguata alla crisi del dopoguerra e alla disfatta della classe operaia, già in pieno svolgimento nel gennaio del 1921. Da queste premesse, scrive la Colarizi, essa aveva ormai perduto ogni sua ragione d’essere; di conseguenza bisognava attivarsi per accelerare il processo di ricomposizione dell’unità della classe.

Quello che urge oggi – aveva scritto Morandi nel 1935 [19] – è una riclassificazione delle premesse politiche della lotta socialista, che si attui sia nella rigenerazione dei suoi motivi fondamentali e perciò nella identificazione degli elementi che ne hanno determinato il temporaneo declino sia nella ricerca di un punto fermo verso il quale si possano orientare, con garanzie di concretezza, tutte le forze socialiste.

Il punto da cui ripartire per questi compagni è il collegamento coi lavoratori, in particolare quelli delle fabbriche delle città industrializzate: la classe operaia acquista una centralità programmatica senza precedenti.

Come spiega nel suo studio su Morandi Aldo Agosti [20]Per i militanti del Centro interno il rapporto partito-classe non è il rapporto fra la classe come immediatezza sociale, come massa indifferenziata, e il partito come portatore all’esterno della coscienza: tra il partito avanguardia cosciente e la classe, alienata e dispersa, c’è l’organizzazione politica di massa che si dà autonomamente i propri obiettivi e autonomamente ne esprime i propri quadri dirigenti. In questa prospettiva, il partito diventa strumento e non il solo con cui la massa esprime i propri interessi politici e attraverso cui si dirige.

La strategia che mette a punto questo gruppo è quella più funzionale alla ricostruzione di una politica per i lavoratori in assenza della struttura del partito: ripartire da quello che c’è sul territorio, dalle condizioni che vivono, dalle loro proteste e dalla loro lotta, ricostruendo con loro un nuovo tessuto politico nelle organizzazioni sindacali esistenti, coi quadri che non intendono più seguire le direttive del regime. O agivano in questo modo o erano costretti ad aspettare inermi l’eventuale caduta della dittatura ed il ritorno in patria dei partiti ora costretti all’estero. Partiti che inevitabilmente non avendo potuto seguire da vicino le sconfitte recenti della classe operaia non sarebbero stati in grado di articolare una politica efficace per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori.  “Riclassificare” la politica socialista in Italia significava allora necessariamente stare vicini agli operai nelle fabbriche con lo sguardo rivolto al movimento operaio internazionale e pronti a sfruttare ogni momento di debolezza del Fascismo.

Il dirigente del PSI che dalla sede emigrata di Parigi si accorge dell’importanza dell’attività del gruppo clandestino milanese e ne sostiene, anzi addirittura ne sprona il lavoro è ancora Giuseppe Faravelli che nel 1935 scrive loro di trasformare i rapporti tra avanguardie e masse da occasionali in costanti, da esterni in interni, moltiplicando le occasioni e le iniziative capaci di mettersi in movimento e ad esprimere esse medesime dei capi. Ma entrare in contatto coi lavoratori nel 1934-1935 non è facile perché il regime vive in quegli anni un momento di forza e la sua rete di controlli è ancora impenetrabile.

È in fabbrica che grazie al lavoro costante della componente operaia del gruppo il Centro socialista interno riesce lentamente a superare i controlli, lavorando dentro il sindacato fascista con alcuni quadri giovani non ancora pienamente inseriti nell’apparato e soprattutto stando attento a cogliere i motivi di malcontento dei lavoratori per poi schierarsi al loro fianco quando si ribellavano al regime. Ma dietro l’impegno pratico del gruppo sta anche la forza organizzativa e la capacità analitica del suo massimo dirigente, Rodolfo Morandi, che in “Storia della grande industria in Italia” aveva già capito nel 1931 il funzionamento del capitalismo industriale italiano, la lacerazione tra Nord e Sud, la disoccupazione, la fragilità degli istituti politici e la formazione di grandi concentrazioni finanziarie, gettando così le basi della concezione economica del Centro socialista interno, come nota Panaccione nel suo studio. [21]

Che l’obiettivo non fosse però solo la classe operaia ma anche il coinvolgimento dei ceti medi, lo spiega molto bene Simona Colarizi in un suo lungo e articolato saggio [22]: La consapevolezza dell’importanza del discorso sulle classi medie e della dimensione che andava acquistando nei partiti socialisti europei, è testimoniata tra l’altro esplicitamente dall’osservazione con cui, nell’agosto 1935, Bruno Maffi e Lucio Luzzatto introducono un loro lungo articolo sulla rivista «Politica socialista»: «Passato all’ordine del giorno di tutti i partiti socialisti, il problema di una “politica delle classi medie” sembra essere diventato negli ultimi anni la conditio sine qua non di ogni politica di rinnovamento». Al di là del contenuto polemico che l’ispirava, la constatazione dei socialisti italiani aveva la sua immediata verifica nel dibattito che si andava sviluppando per un rinnovamento socialista, dibattito estremamente complesso e ricco di suggestioni e di esiti contrastanti, ma attraverso il quale si attua un progressivo e definitivo abbandono delle vecchie posizioni ideologiche e politiche, e matura l’elaborazione di nuovi motivi e di nuove scelte strategiche.

Lelio Basso sulle pagine di «Politica socialista» sostiene inoltre che bisogna coinvolgere anche i giovani, sbarazzandosi dei falsi miti che il fascismo diffondeva, per portarli su posizioni realmente socialiste.

Dal 1937 alla fine di quell’esperienza

Il salto di qualità del lavoro politico del gruppo avviene tra l’estate del 1936 e la primavera del 1937: dai primi contatti con alcune élite intellettuali e operaie, il Centro socialista interno passa a mettere radici solide a Milano e in Lombardia, penetrando in modo capillare nelle spaccature dell’organizzazione fascista aperte dall’ insofferenza delle masse. Nello stesso periodo riesce a stabilire contatti organici e stabili con le altre correnti antifasciste, comunisti soprattutto ma anche repubblicani. Ma soprattutto accanto al centro milanese vengono alla luce tutta una serie di centri secondari (Gruppo Erba, Gruppo Rosso…) dotati di una certa autonomia di azione ma coordinati tra loro e diretti politicamente dalla sede centrale. Le carte rimaste dimostrano che nella strategia di Morandi era previsto che nel caso in cui la sede milanese fosse caduta in mano fascista, gli elementi migliori di questi centri, formati alla stessa scuola, con la stessa prospettiva e con lo stesso metodo di lotta, avrebbero potuto costruire un secondo Centro socialista interno e continuare il lavoro iniziato.

La guerra coloniale in Etiopia del 1934 e la guerra di Spagna del 1936 avevano intaccato la fiducia del popolo italiano nelle scelte del Duce perché avevano imposto restrizioni e sacrifici per delle cose non necessarie. Scrive nel suo saggio Stefano Merli: [23] Mentre fino a pochi mesi prima la lotta degli illegali era tutto quanto poteva vantare l’antifascismo il cui lavoro concreto nella realtà fascista doveva limitarsi all’aderenza minuta ai bisogni elementari delle masse; ora sono queste che con un’imponenza imprevista vengono in primo piano superando gli argini delle parole d’ordine e anche la stessa organizzazione clandestina che è incapace di disciplinarle. Le cronache degli ultimi mesi del 1936 e dei primi del 1937 sono ricche di notizie su manifestazioni pubbliche e su arresti in seguito al malcontento collettivo per le imposte di guerra, le ritenute, l’insufficienza dei salari, ecc.

La Guerra di Spagna dunque che – come si legge nel documento elaborato collettivamente dal gruppo: ha messo finalmente in evidenza, chiari agli occhi di tutti, i termini della lotta di classe, come necessariamente si riduce al suo estremo”. Più avanti si legge “la necessità che vi è dovunque, per il proletariato di prepararsi all’urto, di forgiare le proprie armi rivoluzionarie” e che in Spagna in quel momento “si gettano le basi del prossimo avvento del socialismo spagnolo; si adottano successivi provvedimenti, si estende il controllo operaio, si limita l’impresa capitalistica, rendendo ormai impossibile un ritorno dello sfruttamento capitalistico (…).[24]

Oggi sappiamo che le cose che non sarebbero andate così: i rivoluzionari che sostenevano la causa repubblicana in Spagna sarebbero stati sconfitti e nel 1939 avrebbe avuto inizio la lunga dittatura di Francisco Franco. Ma in quel momento, con quelle parole, il gruppo milanese aveva dato ai lavoratori italiani la speranza del cambiamento e nella rivoluzione aveva indicato la strada per realizzarlo. Ed effettivamente agitazioni spontanee si sviluppano nelle fabbriche e nelle campagne e prendendo spesso il carattere di sollevazioni antifasciste mentre Radio Madrid e Radio Barcellona eccitano gli animi dando notizia della sconfitta delle camicie nere in Spagna, nella battaglia di Guadalajara.

In questa fase l’apparato repressivo fascista si mette in moto con l’obiettivo dichiarato di individuare e colpire i gruppi clandestini che potrebbero creare problemi.  Nella serie di arresti a catena che si susseguono in quel periodo, per la prima volta dopo più di tre anni cade anche il Centro socialista interno. È l’aprile 1937: tra gli arrestati c’è Lucio Luzzatto uno dei fondatori (verrà liberato nel 1942 si impegnerà di nuovo nella lotta antifascista diventando uno dei dirigenti del Movimento di unità proletaria, il MUP), e Aligi Sassu del Gruppo Rosso ma soprattutto molti giovani. Al momento dell’arresto Rodolfo Morandi è fuori città per lavoro ma appena viene a conoscenza dell’accaduto torna rapidamente a Milano per farsi arrestare, per prendersi le responsabilità politiche davanti al gruppo e dare l’esempio ai giovani militanti. In prigione resterà fino al 1943 e pure tra mille privazioni e punizioni non smetterà di pensare alle condizioni della classe operaia e alla liberazione dal nazifascismo, insegnando il marxismo di nascosto ai detenuti e stringendo un’amicizia fraterna coi comunisti imprigionati. Una volta libero, parteciperà attivamente alla Resistenza.

Se la repressione fascista era stata un duro colpo, per i socialisti milanesi, quando Eugenio Colorni, diventa direttore del Centro socialista interno dopo l’arresto di Morandi, scopre di essere indietro rispetto alle masse e in un articolo del giugno 1937 pubblicato sul «Nuovo Avanti!» intitolato «La spontaneità è una forma di organizzazione» ragiona apertamente sulla maturazione delle masse e sui limiti dell’organizzazione dei partiti rivoluzionari, incapaci di creare una proficua collaborazione con esse quando siano in grado di sviluppare una lotta. È un passaggio importante. Dopo gli arresti del 1937 è molto interessante leggere una lettera che scrive il 6 agosto di quell’anno da Trieste a Giuseppe Faravelli a Lugano e che cita dettagliatamente Florindi nel suo libro: Gli ultimi arresti hanno dimostrato che l’errore non consisteva solo nel congestionamento all’interno ma nel congestionamento all’estero. […] la centrale di Lugano è conosciutissima dalla polizia che attraverso essa può seguire tutte le nostre mosse,[25] specificando che il lavoro politico dovrà essere concentrato a Parigi. Nella lettera dice anche altro, parla di organizzare il lavoro politico in Italia in più centri con pochi responsabili, collegati col Centro estero.  Sul lavoro comune coi comunisti, Colorni a differenza di Morandi non vede più possibile un’unità organica, per la loro eccessiva dipendenza da Mosca, ma crede sia possibile una collaborazione nel tentativo di introdursi negli ambienti fascisti con parole d’ordine rivoluzionarie.

L’8 settembre 1938 a Trieste viene arrestato Eugenio Colorni. Gli succede Eugenio Curiel ed è ancora il libro di Florindi a fare emergere la complessità della sua figura: se negli anni ’60 secondo Stefano Merli egli antepone il suo lavoro nel Centro socialista interno ai suoi rapporti coi comunisti e per Giorgio Amendola era invece il contrario, Fabio Florindi arriva a una terza conclusione: Curiel, prima di essere socialista o comunista si reputa un antifascista classista, è un fautore dell’unità organica di Psi e Pcd’i, e, quindi, probabilmente in quel momento sceglie i socialisti perché reputa più fruttuoso un lavoro unitario all’interno del centro interno. [26] Specificando poco più avanti E si può dire che Curiel sia il prototipo perfetto dell’antifascista unitario. Per lui lavorare con il Psi o con il Pcd’I cambia poco, l’importante è arrivare all’unità della classe operaia ed è per questo che si batte sia con i comunisti che con i socialisti. Il punto di vista suo e della sua generazione, cresciuta sotto il fascismo, col regime che si infiltra in ogni aspetto della vita pubblica e privata, la priorità era combattere il regime. Da un punto di vista operativo Curiel punta a penetrare le maglie del sindacato fascista e lo scrive chiaramente nel suo articolo «Lotte operaie e sindacato fascista» del gennaio 1939, in cui afferma che dentro quel sindacato è possibile forgiare nelle masse i nuovi quadri della classe operaia italiana. Ma anche Curiel nel 1939 cade nelle maglie della polizia fascista mentre sta varcando il confine svizzero-francese. Poco dopo verrà arrestato Lelio Basso, che viene interrogato anche in merito alla sua conoscenza del lavoro politico di Eugenio Curiel. Si chiude così l’esperienza del Centro socialista interno ed anche il fronte che si era ricostituito tra Psi e PCd’I si rompe poco dopo in occasione della firma del patto Ribbentrop- Molotov.

Colorni, confinato a Ventotene dal 1939 al 1941, verrà ucciso a Roma dalla milizia fascista il 30 maggio 1944, poco prima della Liberazione della capitale. Aveva comunque avuto il tempo di contribuire a gettare le basi del PSIUP (il nuovo nome del PSI).

Nel 1942 Luzzatto si unirà alla lotta antifascista, di ritorno dal confino; Basso nel 1942 costituirà a Milano insieme a Viotto, Recalcati, Luzzatto e Veratti il MUP, sul modello del Centro socialista interno, per raccogliere in modo unitario tutti i lavoratori non solo per abbattere il fascismo ma per creare le basi della società socialista. Dopo la caduta del Fascismo inizierà il processo di fusione del MUP col PSI che darà vita al PSIUP e sarà Basso nell’Assemblea Costituente uno dei maggiori artefici dell’articolo 3.

Curiel, condannato nel 1940 a cinque anni di confino, sarà ucciso a Milano dalle Brigate nere il 24 febbraio 1945.

Morandi uscito di prigione nel febbraio 1943, entrerà a far parte della Resistenza e nel 1944 interverrà nel dibattito del CLN dicendo: A noi pare che socialisti e comunisti non debbano perdere la sensibilità di classe nel praticare la politica d’unità. D’altra parte ciò che i socialisti hanno in vista è semplicemente di rimettere alla classe lavoratrice i suoi diritti, garantendone la possibilità di far dal basso, attraverso forme rappresentative che essa stessa nel corso della lotta si dà (“Politica di classe”). Tra il dicembre 1945 e l’aprile 1946 sarà segretario del PSIUP, poi ministro per l’Industria e il Commercio. Morirà a Milano nel luglio 1955, dopo aver ricreato l’organizzazione territoriale del Partito socialista ed avere istituito i Nuclei aziendali socialisti (NAS).

di Marco Zanier

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[1] Santi Fedele «Gli anni del rinnovamento: la lotta antifascista all’estero», in «Storia e problemi del socialismo italiano», nel volume 2 della Storia del Partito socialista italiano, Marsilio, Venezia, 1979.

[2] «Fronte antifascista e politica di classe – socialisti e comunisti in Italia 1923 – 1939», a cura di Stefano Merli, De Donato, Bari, 1975, p. 6

[3] Aldo Agosti «Rodolfo Morandi- il pensiero e l’azione politica», Laterza, Bari, 1971, p. 215

[4] Lelio Basso, «Il Partito, ma in Italia (consensi a Veturio)» in «Quaderni di Giustizia e Libertà», giugno 1933, n. 7

[5] Molto interessante l’annotazione di Fabio Florindi nel suo libro recente che parla attraverso le parole di Lucio Luzzatto di primavera del 1934 come della preparazione della struttura politica che verrà fondata nell’estate di quell’anno, concordando in questo con Stefano Merli ed Aldo Agosti, si veda «Pericolosi sovversivi. Storia del Centro socialista interno (1934-1944)» con Prefazione di Paolo Mattera, Arcadia, 2022, pp. 12-13

[6] «Alcune eredità del Centro socialista interno nella Resistenza e nel dopoguerra», uscito nel volume «Le culture politiche ed economiche del socialismo italiano dagli anni ’30 agli anni ‘60» curato da David Bidussa e dallo stesso Andrea Panaccione, pubblicato nei Quaderni della Fondazione Giacomo Brodolini nel 2015

[7] Aldo Agosti, «Rodolfo Morandi – Il pensiero e l’azione politica», cit.

[8] «Eugenio Curiel, Scritti 1935- 1945», a cura di Filippo Frassati con prefazione di Giorgio Amendola, Editori Riuniti- istituto Gramsci, Roma, 1973

[9] Nando Briamonte, «La vita e il pensiero di Eugenio Curiel», Feltrinelli economica, Milano, 1979

[10] «Eugenio Colorni – Scritti», con prefazione di Norberto Bobbio, La Nuova Italia, Firenze, 1975

[11] «Eugenio Colorni dall’antifascismo all’europeismo socialista e federalista», a cura di Maurizio Degl’Innocenti, Piero Lacaita, Manduria, 2010

[12] Antonio Tedesco, «Il partigiano Colorni e il grande sogno europeo», con prefazione di Giorgio Benvenuto, Editori Riuniti University press, Roma, 2014

[13] Chiara Giorgi, «Un socialista del Novecento- Uguaglianza, libertà e diritti nel percorso di Lelio Basso», Carocci, Roma, 2015

[14] Stefano Merli, «Documenti inediti dell’archivio Angelo Tasca- La rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo dal 1934 al 1939», Istituto Giangiacomo Feltrinelli, Feltrinelli, Milano, 1963

[15] Stefano Merli, «Fronte antifascista e politica di classe- Socialisti e comunisti in Italia 1923-1939», De Donato, Bari, 1975

[16] Fabio Florindi «Pericolosi sovversivi. Storia del Centro socialista interno (1934-1944)», cit.

[17] Lucio Luzzatto, «Sulla strada dell’unità, seguendo l’insegnamento di Rodolfo Morandi», in «Mondo Nuovo», 23 luglio 1972, ora in «Lucio Luzzatto – L’attività politica e l’impegno di costituzionalista», Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine, 1996, p. 121

[18] Simona Colarizi, «L’età delle scissioni: il PSI tra seconda e terza Internazionale», in «Storia e problemi del socialismo italiano», nel volume 2 della Storia del Partito socialista italiano, Marsilio, Venezia, 1979, p. 15

[19] Ora in Rodolfo Morandi «La democrazia del socialismo», Einaudi Reprints, Torino, 1975, p. 27

[20] Aldo Agosti «Rodolfo Morandi- il pensiero e l’azione politica», cit., p. 268

[21] «Alcune eredità del Centro socialista interno nella Resistenza e nel dopoguerra», cit., p. 31

[22] «Classe operaia e ceti medi- Rosselli, Nenni, Morandi: il dibattito sulle alleanze negli anni trenta», compreso nella collana «Storia e problemi del socialismo italiano», Marsilio, Venezia, 1976, p. 18

[23] «Fronte antifascista e politica di classe- socialisti e comunisti in Italia 1923- 1939», cit., p. 46

[24] Rodolfo Morandi «La guerra spagnola», pubblicato in opuscolo a Parigi nel marzo 1937, nella collana «Echi», a cura del Centro socialista interno, ora anche in Stefano Merli «Fronte antifascista e politica di classe- socialisti e comunisti in Italia 1923- 1939», cit., pp.129-141

[25] Fabio Florindi «Pericolosi sovversivi. Storia del Centro socialista interno (1934-1944), cit., p. 81

[26] Fabio Florindi «Pericolosi sovversivi. Storia del Centro socialista interno (1934-1944), cit., p. 104

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