Andrea Ricciardi

Giugno 2024: il centenario dell’omicidio Matteotti e dintorni

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel ricordare Giacomo Matteotti a cento anni dal suo assassinio, ha detto che il deputato socialista, allora segretario del PSU di Turati, Kuliscioff, Treves e Modigliani, fu ucciso da «squadristi fascisti». Si potrebbe dire che, rispetto a un recente passato, Meloni ha fatto un passo avanti. L’aggettivo «fascista» è comparso e, in effetti, sul fatto che gli assassini fossero fascisti non ci sono dubbi.
A ben vedere, tuttavia, non si trattava semplicemente di squadristi ma di componenti della Ceka fascista, una squadra speciale a cui erano affidate operazioni delicate (le violenze e le intimidazioni contro gli oppositori antifascisti) e che era alle dirette dipendenze di Benito
Mussolini, a capo del governo da oltre un anno e mezzo. Insomma quella squadra di criminali, molto prima dell’approvazione delle leggi eccezionali (definite «fascistissime») nel novembre del 1926, attraverso le quali venne edificato il totalitarismo mussoliniano, agiva su diretto input del duce ed era protetta da una magistratura ormai quasi del tutto compiacente, come dimostrato dai tristi esiti dei processi di Roma e di Chieti ad Amerigo Dumini e ai suoi camerati nel biennio 1925-26.

La Ceka incarnava bene l’idea di arbitrio, incompatibile con la legalità liberale, che era alla base della condotta di Mussolini e dei ras fascisti, che Vittorio Emanuele III si guardò bene dal fermare nonostante le richieste delle forze politiche che animarono l’Aventino.

Il re, così facendo, si rese pienamente complice per un ventennio di tutte le nefandezze perpetrate dai vertici del regime: «l’impresa» coloniale in Etiopia, caratterizzata dall’utilizzo di gas (iprite) e dalle vergognose stragi di civili ordinate da Badoglio e Graziani; il sostegno diretto al colpo di Stato nella Spagna repubblicana e al sanguinario regime di Francisco Franco; le leggi razziali contro gli ebrei;
l’alleanza di ferro con Hitler e la partecipazione alla Seconda guerra mondiale.
A pochi giorni dal ricordo di Matteotti, celebrato il 30 maggio (cento anni dopo il suo ultimo discorso alla Camera), l’attuale maggioranza di governo, proprio alla Camera, si è resa protagonista di un atto gravissimo. Ha giustificato l’aggressione a un deputato dell’opposizione, Leonardo Donno (M5S), secondo la destra “colpevole” di aver inscenato una protesta nei confronti di Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e per le autonomie, primo sostenitore della discussa autonomia differenziata. Ma di cosa è stato
accusato esattamente Donno, aggredito fisicamente da alcuni deputati di Lega e FDI? Di aver addirittura tentato di consegnare al ministro la bandiera italiana, una provocazione o, secondo alcuni, una vera minaccia… L’ufficio di presidenza della Camera, anziché punire i responsabili dell’aggressione (documentata dalle telecamere), ha pensato bene di inserirla in un deprecabile “scontro” tra le diverse parti politiche, di fatto equiparando gli aggressori all’aggredito, difeso da alcuni colleghi dell’area progressista.
Il 13 giugno 2024, il Presidente della Camera Lorenzo Fontana (Lega) ha stigmatizzato l’accaduto, affermando solennemente (e curiosamente) che «il confronto politico tra posizioni diverse non può mai trascendere nello scontro fisico» e nella «lesione delle
istituzioni».

Tra gli undici deputati sospesi (compreso Donno e quattro esponenti del PD), il leghista Igor Lezzi è stato quello più colpito: per 15 giorni gli è stato vietato di partecipare ai lavori parlamentari. La sua assenza, come quella dei cinque colleghi di coalizione, sarà
stata di certo sopportata dalla Camera senza gravi traumi né ripercussioni sul dibattito parlamentare.

Ci si augura di cuore che in futuro non si assista più a certe scene, a due sole settimane dal ricordo di Matteotti. Un ricordo evaporato in poche ore senza, purtroppo, lasciare tracce significative in una maggioranza legata alla X Mas, a più riprese evocata proprio il 12 giugno, e non ai valori dell’antifascismo che sarebbero ancora alla base della Costituzione repubblicana.
Le dichiarazioni più inquietanti, tuttavia, sono venute proprio da Giorgia Meloni che il 15 giugno, a conclusione del vertice del G7 organizzato in Puglia, si è rammaricata con i suoi colleghi di coalizione non per la loro aggressività fisica (e verbale), ma per altre ragioni. Ha detto testualmente la Presidente del Consiglio: «trovo molto grave che ci siano esponenti della maggioranza che cadono nelle provocazioni. Prevedo che aumenteranno».

E ancora: «penso che i cittadini si debbano interrogare su quale sia l’amore per la nostra nazione di esponenti politici che cercano di provocare per ottenere un risultato, dileggiando e occupando banchi del governo». Ma il dileggio e le provocazioni arrivano da chi capovolge costantemente la realtà, evitando anche di affrontare le molte (e documentate) nostalgie per il fascismo dei militanti di FDI, giovani e meno giovani, fuori e dentro al Parlamento.
Per queste persone Matteotti non è forse da celebrare come un vero “patriota”. Anche il deputato socialista, stando a queste logiche, non amava la nazione perché si opponeva ai fascisti provocandoli, con discorsi in favore della libertà, con programmi politici alternativi
ai loro, con costanti richiami al rispetto delle leggi e delle persone.

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