Dopo lo smembramento della Cecoslovacchia, sancito il 29 settembre 1938 (in assenza di rappresentanti di Praga) dal Patto di Monaco tra Hitler, Daladier, Chamberlain e Mussolini, patto preceduto dall’approvazione delle vergognose leggi razziali in Italia, l’Europa apparve agli osservatori e ai dirigenti politici più avveduti sempre più vicina a un nuovo conflitto nonostante le rassicurazioni del duce, accolto in patria il 30 settembre come un eroico difensore della pace. Churchill, in un celebre discorso indirizzato in primis a Chamberlain, sintetizzò con grande efficacia cosa stava accadendo, affermando: «potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra». Il 17 dicembre 1938, Mussolini denunciò gli accordi stipulati con Laval nel gennaio 1935, provocando un peggioramento dei rapporti con la Francia dopo che la Gran Bretagna aveva riconosciuto l’annessione dell’Etiopia all’Italia fascista in cambio del ritiro dalla Spagna di diecimila “volontari”, in omaggio al cosiddetto accordo di Pasqua del precedente 16 aprile. Il 14 dicembre 1938 la Camera dei deputati aveva tenuto la sua ultima seduta, nel gennaio del 1939 sarebbe stata soppressa e sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni. Anche l’ultima traccia, ormai solo formale, delle garanzie previste dallo Statuto albertino, che era stato alla base dell’Italia liberale, sarebbe dunque sparita.

La politica dell’appeasement, messa in atto per scongiurare la guerra assecondando Hitler, nella vana speranza che la Germania fermasse la sua politica estera aggressiva, si stava rivelando per quella che era stata considerata fin dall’inizio da molti antifascisti in esilio: un mezzo del tutto inadeguato allo scopo. Senza curarsi dell’URSS, preoccupate più dallo “spettro” del comunismo che non dalla realtà del nazifascismo, Gran Bretagna e Francia, di fronte a una linea politica che non sarebbe stata modificata fino al pieno raggiungimento da parte dei nazisti di obiettivi esplicitati ormai da tempo (espansione territoriale verso Est per conquistare lo “spazio vitale”, Lebensraum, e persecuzioni razziali nel nome dell’affermazione della razza “pura” che si sarebbero tradotte nella Shoah), continuavano a trattare mentre soprattutto in Francia nell’Assemblea nazionale e nell’opinione pubblica, prevaleva una volontà di pace a tutti i costi.

Dopo aver inviato all’Albania il 25 marzo 1939 un ultimatum, in cui chiese di accettare un’unione doganale concepita in base agli interessi nazionali, il 6 aprile l’Italia occupò militarmente le principali zone strategiche del paese balcanico, inserendo direttamente funzionari italiani nell’amministrazione pubblica. Re Zogu si rifugiò in Grecia e il 12 aprile, nel tentativo di evitare una vera e propria guerra, un’assemblea di notabili locali offrì la corona d’Albania a Vittorio Emanuele III. Il diplomatico Francesco Jacomoni, il 19 aprile, fu nominato ambasciatore e, qualche giorno dopo, Luogotenente del re in Albania, carica che avrebbe mantenuto fino al marzo 1943.

Tra il 14 e il 16 aprile, il clima internazionale si surriscaldò ulteriormente. Il presidente Roosevelt scrisse a Hitler e Mussolini chiedendo, inascoltato, che, dopo l’occupazione di Albania e Cecoslovacchia, Italia e Germania fornissero garanzie a proposito dell’integrità territoriale degli Stati europei e di quelli africani affacciati sul Mediterraneo, proponendo la convocazione di una conferenza internazionale di pace. Il 16 aprile, attraverso un radio messaggio, Papa Pio XII (eletto il 2 marzo al posto di Pio XI, scomparso il 10 febbraio) celebrò il successo dei franchisti nella Guerra civile spagnola, terminata con l’occupazione di Madrid il 28 marzo, parlando espressamente di «baluardo inespugnabile della fede cattolica». Il precedente 15 dicembre, dopo la battaglia del fiume Ebro, era stato deciso lo scioglimento delle brigate internazionali composte da combattenti di nazionalità diverse che, nel nome dell’antifascismo, avevano difeso con grande coraggio e fino alle estreme conseguenze la Repubblica spagnola.

Il 22 maggio 1939 il Patto d’acciaio, firmato a Berlino dai ministri degli Esteri Ciano e Von Ribbentrop, sancì solennemente l’alleanza militare e politica italo-tedesca. L’accordo stabilì che i contraenti sarebbero intervenuti automaticamente nel caso in cui fosse scoppiato un conflitto che avrebbe coinvolto l’alleato. Non furono introdotte clausole che limitassero l’eventuale intervento a scopi esclusivamente difensivi. Questo perché le dinamiche che avevano portato l’Italia a entrare in guerra nel 1915 al fianco delle potenze dell’Intesa dopo il Patto di Londra, che, di fatto, aveva rovesciato gli equilibri interni alla Triplice alleanza, evidentemente non erano state dimenticate dai tedeschi. L’accordo stabilì che le due potenze si sarebbero consultate nel caso di avvenimenti internazionali che avrebbero riguardato i rispettivi interessi, inoltre Germania e Italia s’impegnarono a non avanzare richieste di armistizio o di pace separate. Fu riconosciuta la necessità che i due paesi si assicurassero uno “spazio vitale” e, infine, venne esaltata l’affinità ideologica che esisteva tra i due regimi. Tuttavia, solo otto giorni dopo la firma del patto, Mussolini consegnò un memoriale al generale Ugo Cavallero, che si stava per recare in visita in Germania per colloqui militari. Nel memoriale, ricevuto da Hitler il 3 giugno, il duce riconosceva la necessità di prepararsi militarmente, economicamente e moralmente a una guerra ritenuta ormai inevitabile ma, nel contempo, faceva presente che l’Italia non si sarebbe potuta impegnare in un conflitto su scala generale prima di tre anni, durante i quali avrebbe dovuto consolidare l’economia autarchica, “pacificare” l’impero, rinnovare l’esercito, trasferire gli impianti industriali importanti in zone del paese più sicure. Quasi una marcia indietro che, com’è noto, presto si tradurrà in una nuova inversione di rotta a conferma della confusione e della scarsa coscienza della realtà che albergavano nella mente del capo del fascismo.

Tra l’11 e il 23 agosto 1939 la situazione precipitò: Von Ribbentrop, a Salisburgo, incontrò Ciano e gli comunicò l’intenzione della Germania di attaccare la Polonia per risolvere con la forza delle armi la questione del possesso del corridoio di Danzica, la striscia di territorio assegnata alla Polonia stessa come sbocco sul Mar Baltico dal trattato di Versailles. Quella scelta aveva diviso la Prussia orientale dal resto della Germania e, come per la questione dei Sudeti inerente alla Cecoslovacchia, rappresentò il pretesto per l’attacco che, secondo Hitler, non sarebbe stato contrastato da Francia e Gran Bretagna, nonostante l’esistenza di trattati con la Polonia, ai quali si aggiunse proprio in quei giorni un’alleanza militare con la Francia. Il patto Ribbentrop-Molotov, che divise l’antifascismo consentendo all’URSS di ottenere una parte della Polonia, oltre che l’inserimento della Bessarabia e degli Stati baltici nella sua sfera d’influenza grazie all’ormai celebre protocollo segreto, fu firmato una settimana prima dell’attacco alla Polonia. Mentre Roosevelt, nuovamente inascoltato, si rivolgeva al duce chiedendogli di spendere tutta la sua influenza per evitare la guerra e Pio XII, mostrando una notevole dose di (colpevole) ingenuità, invitava i governi a usare la ragione e non le armi per risolvere i problemi, Hitler informava Mussolini della decisione presa (in aperta violazione del Patto anticomintern firmato con il Giappone), chiedendo un atteggiamento “comprensivo”. Il duce, un po’ piccato, replicò che lo stato d’impreparazione militare avrebbe obbligato l’Italia a chiedere aiuto proprio alla Germania: mancavano materie prime e armi. La lista presentata fu però considerata eccessiva da Hitler, che dichiarò come la Germania non avrebbe avuto bisogno d’aiuto per conquistare la Polonia e, eventualmente, per affrontare uno scontro con la Francia.

Nel 1940 l’Italia, al contrario di quanto teorizzato in precedenza, sarebbe entrata nel conflitto con l’indimenticata “pugnalata alla schiena” inferta alla Francia. La successiva guerra parallela rappresenterà l’inizio della fine per Mussolini e il fascismo mentre, nella seconda metà del 1941, dopo l’attacco della Germania all’URSS e del Giappone agli Stati Uniti, la guerra diventerà mondiale e, riunificatesi le diverse anime dell’antifascismo, si concluderà con la sconfitta del nazifascismo dopo immani tragedie di cui, dopo la fine della Guerra fredda, l’Europa e il mondo portano ancora le tracce. È necessario non dimenticare, affinché drammi di tale portata non si ripetano mettendo a rischio la sopravvivenza del pianeta, già molto “provato” da uno sviluppo incontrollato e spesso cieco di fronte ai più elementari bisogni delle specie che lo popolano, a cominciare da quella umana.

di Andrea Ricciardi

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