Il 25 aprile 2022 riapre i battenti la Rivista “Lettera ai Compagni”.
È stato chiesto anche a me un contributo che in qualche modo dia il senso dell’evento.
Mi è sembrato allora opportuno in coerenza con l’origine e la finalità della Rivista, ricordare nel giorno della Liberazione, Ferruccio Parri che fondò detta Rivista nel 1969, in continuità ideale con gli ideali perseguiti dalla FIAP, Federazione Italiane Partigiane, costituita nel lontano 1949.
Devo, al contempo, confessare la mia inadeguatezza rispetto a tale compito. Io non sono uno storico pertanto, fin d’ora confido nella comprensione dei lettori ed è forse inevitabile che alla rappresentazione oggettiva del personaggio faccia velo la considerazione che di quel personaggio ha il nipote. E pertanto la mia non sarà una relazione da storico, ma un racconto che avrà come filo conduttore l’affetto dei nipoti verso il nonno.

Ferruccio Parri nasce nel gennaio 1890 in Pinerolo da una famiglia di origini marchigiane di radicate convinzioni mazziniane e repubblicane, originaria di un paese Mercatello sul Metauro. Il padre Fedele, preside di Scuola Superiore, era un acceso mazziniano, assistente di Carducci e seguace di Alberto Mario, uno dei protagonisti dell’impresa dei mille di Garibaldi.
Parri si laurea in Lettere a Torino in storia economica. Parte per il servizio militare che presta quale ufficiale di complemento. Interventista democratico, viene richiamato alle armi già nel 1913 e partecipa alla grande guerra guadagnando, si fa per dire, 4 ferite, un congelamento ai piedi, da cui non guarirà mai completamente, tre promozioni per meriti di guerra e tre medaglie di argento, varie onorificenze, estere.
Primo al Corso per Ufficiali di Stato Maggiore aperto al ruolo di complemento, non è estraneo ai piani per la vittoriosa offensiva di Vittorio Veneto. Era nell’ufficio operazioni dell’allora colonnello Cavallero, anche per la stupefacente conoscenza della geografia e della topografia ancora a ottant’anni suonati e qui lo dico con cognizione di causa.

Ritornato dalla guerra è un intellettuale che partecipa attivamente in prima fila nell’Associazione Nazionale Combattenti.

Ma è anche un uomo di scuola, Dal 1920 al 1924 vincitore di concorsi ed insegnante al liceo Classico Parini in Milano, (città elettiva della famiglia, dove nacque mio padre nel 1926), contemporaneamente collaboratore al Corriere della Sera di Luigi Albertini. Passione questa del giornalismo che avrebbe abbracciato definitivamente se con l’avvento del fascismo non fosse stato costretto ad abbandonare dapprima la scuola e poi anche il quotidiano milanese.
Di fronte alla crescente fascistizzazione della scuola, chiede un periodo di aspettativa. Collaboratore al Corriere chiede un altro periodo di aspettativa, ma essendosi rifiutato di commemorare la marcia su Roma, viene dichiarato dimissionario nel 1925.
Richiesto da Albertini di rimanere, insieme con altri collaboratori, per un periodo presso il quotidiano per provare ad opporsi alla “normalizzazione” del giornale, è, tuttavia, costretto ad abbandonare il Corriere.

L’antifascismo di Parri inizia già nel 1922. Il 1924 con l’assassinio di Matteotti rappresenta per Parri, per tanti, che tanti in effetti non erano, lo spartiacque, il passaggio nell’antifascismo militante. Il regime svela il suo vero volto e stringe il cappio al collo del Paese con le “leggi fascistissime” del 1925. Conosce Rosselli a Milano, Riccardo Bauer, ha rapporti con Gobetti,
Arrestato il 14 dicembre 1926 e incarcerato a Massa con Carlo Rosselli, per l’espatrio di Turati e di Pertini, viene processato a Savona.

E proprio a Savona nel corso del processo elabora, influenza e viene a sua volta influenzato da Carlo Rosselli, il credo antifascista.

Celebre la lettera al giudice istruttore di Savona; vale la pena di citarne i passi essenziali: “contro il fascismo non ho che una ragione di avversione, ma quest’una perentoria e irriducibile perché è avversione morale “, esordisce Parri e poi la rivendicazione del passato in guerra e in pace, l’avversione ad un regime visto come dispensatore di benemerenze e connotato da un baccanale di retorica. L’aspirazione alla libertà e alla giustizia, ragione ideale del Risorgimento, e soprattutto l’opposizione al fascismo per un “Secondo risorgimento di popolo non più di avanguardie e qui c’è tutto Mazzini,” che solo potrà riallacciare il passato all’avvenire. E’in noi la certezza che libertà e giustizia idee inintelligibili e mute solo a tempi di supina servitù, ma non periture e non corruttibili perché radicate nel più intimo spirito dell’uomo, che questi due primi valori civili debbano immutabilmente sostanziare ogni sforzo di ascensione di classi e di popolo. Nella fede in queste idee noi ci riconosciamo, nel dispregio di queste idee riconosciamo il fascismo. Contro le nostre persone esso ha bastone e manette, contro la nostra fede è inane. Non ha invero che i sofismi dei suoi retori e dei suoi servi.

Parri come Pertini, socialista ma di carattere e formazione risorgimentale, sente che “l’esempio del risorgimento ed il dovere del 1915 erano ancora il dovere di oggi” e che “come in guerra ai più consapevoli spetta ineluttabilmente l’onore dell’esempio”.

È un processo quello di Savona, nel quale i ruoli si ribaltano, gli imputati diventano accusatori del regime. L’ultimo prima della fine definitiva dello Stato liberale. La condanna a 10 mesi galera per espatrio clandestino è semplice; in una parola, i giudici, giudici veri, non nominati dal regime, riconoscono lo stato di necessità, il fatto che fosse necessario far espatriare Turati e Pertini per sottrarli alle minacce squadriste. A Pertini era già stato rotto un braccio.
A questi 10 mesi, Parri somma svariati anni di confino, Ustica, Lipari;  libero a Milano per un anno e nuovamente al confino a Lipari e a Vallo della Lucania, diciamo così sulla fiducia, fino al 1933. Sempre con la famiglia al seguito. Rifiuta di presentare domanda di grazia; scrive ai genitori che non avrebbe barattato la propria coerenza morale, il proprio patrimonio morale con “un piattuccio di lenticchie tarlate”.

Dal ’33 al ’43, pur schedato, lavora in Milano presso la Edison e di lì a poco é nominato dirigente della sezione economica dell’Ufficio Studi. Continua a tessere la tela antifascista. Lavoro discreto ed appartato, un decennio di apparente normalità come mio padre ricorderà. Solo 6 mesi in carcere nel ’42, per cospirazione antifascista. Questa volta era del tutto innocente. Tra i primi aderenti al Partito di Azione.

Con la caduta del fascismo riprende l’attività politica, soprattutto con quel mondo combattentistico da dove anch’egli proveniva, e quindi personaggi come Astengo (fucilato di lì a poco) , Alonzi  Bergmann, Boeri, Mira, Zino.

In estrema sintesi, perché l’iter fu più complesso, promuove un organismo militare, il futuro CVL (Corpo Volontari della Libertà) di cui per il Partito d’Azione assume la guida, da affiancare al CLN. Parri non era uomo della politica partitica; fa quanto possibile per evitare la partitizzazione delle formazioni partigiane, tanto che al riconoscimento dell’identità politica delle formazioni si arriva solo nel novembre del ’44 allorché si decise, il governo di Roma ed il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) – alla cui testa vi era, allora e per tutto il periodo della Resistenza, Alfredo Pizzoni, il banchiere della Resistenza – decisero la costituzione di un comando unico del CVL affidato al Generale Raffaele Cadorna con vicecomandanti Luigi Longo per le Brigate Garibaldi, Parri, ormai conosciuto come Maurizio per le brigate Giustizia e Libertà.

Grazie agli ottimi rapporti con gli alleati, Allen Dulles in particolare, capo del servizio di controspionaggio americano e poi della CIA, il CLNAI ottiene il riconoscimento quale governo dell’Italia occupata e quindi referente diretto delle forze alleate.
Arrestato a Milano per pura casualità il 2 gennaio del 1945, passa due mesi con i nazisti, titolo dell’unico libro di memorie che abbia scritto, scritto proprio per difendersi dalle accuse che a trent’anni da quegli eventi ancora gli piombavano addosso.
Nostro nonno e qui ne sono testimone diretto, riceveva ancora poco prima di morire cartoline condite da insulti fascisti. Ne era sempre amareggiato.

Attraverso varie peripezie, Maurizio viene portato in Svizzera dove, fatte salve due missioni al Sud, viene lasciato a cuocere a bagno maria fino al 25 aprile sera, quando può ritornare a Milano e riprendere il suo posto di Vicecomandante generale del CVL. Dal tavolaccio alla branda, chiosava, riferendosi alla brandina da campo che aveva dovuto portarsi al Viminale.

Il Governo Parri.

Parri al governo dura poco, dal giugno ’45 al novembre ’45. I problemi erano immensi e avrebbero dovuto essere affrontati con ben altra concordia di intenti; tuttavia, i partiti, o per meglio dire, i vertici dei partiti e non la base, soprattutto quella che aveva partecipato alla lotta di Liberazione, pensavano a quel governo come ad un governo ponte, passerella, per usare un’espressione di Calamandrei che li avrebbe dovuto traghettare al potere.
Per Maurizio, ma parlo di Parri come personaggio paradigmatico, la Resistenza aveva un significato chiaro, il compimento in senso democratico (e qui veniamo alla polemica con Croce) del Risorgimento Italiano. E per quell’idea, che tanti i più giovani soprattutto morirono. Ma badiamo bene, non è un’idea astratta è qualcosa di concreto, una generazione di donne di uomini che vivono, lottano, pensano, sperano, agiscono, soprattutto, per dar vita da una Patria comune libera ed equa per tutti.

In nome di quegli ideali, forte di quegli ideali, Maurizio si insedia al Viminale. Li sente, li vive, sa di aver ricevuto un mandato dai vivi e soprattutto dai morti, morti e vivi con lo stesso impegno avrebbe scritto Piero Calamandrei. Proprio Maurizio, commemorando Caamandrei, parlò di “una lunga indistinta teoria di giovani di uomini di donne d’Italia. Il loro partito non conta hanno combattuto, hanno sofferto, sono caduti la più parte, molti dimenticati, per le idee grandi elementari e perenni della giustizia, dell’uguaglianza, della pace che muovono i popoli”.

Il governo Parri non fu solamente una compagine guidata da un onest’uomo, certamente, ma, per il resto inetto, come venne fatto passare da una certa interessata pubblicistica e da qualche storico disattento.
Oltre all’istituzione della Consulta, assemblea legislativa provvisoria, la cui prima riunione si tenne il 26 settembre 1945, le riforme a cui quel governo pose mano furono di grande respiro e duole dirlo, almeno nell’immediato, vennero lasciate cadere dai successori: da quelle di razionalizzazione tributaria, con l’istituzione di una dichiarazione comprensiva di redditi e cespiti patrimoniali, a quelle finalizzate a colpire le speculazioni finanziarie realizzate per opera e durante il regime fascista.

Inoltre, il governo decretò una lotta senza quartiere alla mafia, attraverso la presentazione di un progetto di legge per l’istituzione alle dipendenze dell’Alto Commissario per la Sicilia, di un Ispettorato Generale di Pubblica Sicurezza con forze di Polizia e dei Carabinieri per combattere la criminalità organizzata. Progetto anch’esso lasciato cadere dai governi successivi. Stroncò il nascente separatismo siciliano spedendo al confino il leader di questo movimento, Finocchiaro Aprile. Ma altri esempi potrebbero essere fatti.
Certo compì errori, ma chi non li fa?  Certamente fu avversato e lasciato solo; la burocrazia romana non lo sopportava, non sopportava quei giovani venuti da chissà dove che usavano un lessico incomprensibile, che si fermavano fino tarda ora in ufficio. Molte tra le migliori intelligenze del tempo furono in quella compagine.

Tutta l’Italia ufficiale suonò le campane a lutto per quel governo. Solamente le masse popolari, attraverso la CGIL, sostennero l’azione di Parri.
I Democristiani e liberali fecero il loro gioco, i partiti di sinistra seguirono una politica di realtà, salvo poi rimanere estromessi anche loro dagli esecutivi che si formarono. Non si deve dimenticare il ruolo non passivo giocato dal convitato di pietra del momento; il Vaticano.
Il Partito d’Azione, numericamente debole e diviso al proprio interno (fraternamente, tuttavia diviso), non ebbe la forza di sostenere il governo.

Nostro nonno spesso tornava su quella breve e sfortunata esperienza con un velo di trattenuta malinconia e per celia diceva sempre che De Gasperi gli aveva fatto lo sgambetto. Ma non solo lui e dalle sue parole quanto meno questo si poteva immaginare.
Tappe fondamentali del percorso politico di Parri furono l’opposizione alla legge truffa insieme con Calamandrei, Codignola ed altri, condotta dalle file di Unità Popolare, formazione politica nata con lo scopo di impedire alla maggioranza del partito o dei partiti di raggiungere il quorum previsto dalla legge.

Ancora la costituzione della FIAP e la fondazione dell’INSMLI, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, ora Istituto Nazionale Parri.
Rieletto al Senato con il PSI nel 1958, e poi la nomina a Senatore a Vita, l’impegno con il neonato Parlamento Europeo, la rivista Astrolabio di cui fu il direttore per un tempo piuttosto lungo.

Vorrei ancora citare la partecipazione in qualità di presidente al Gruppo Parlamentare della Sinistra Indipendente. L’atto di nascita della Sinistra Indipendente fu un appello lanciato da Parri nel 1967 per l’unità delle sinistre e l’alternativa di governo, sottoscritto da un nutrito numero di intellettuali. In complesso i risultati furono fecondi perché in un periodo caratterizzato da forte appartenenza partitica, forze e personaggi tra loro distanti riuscirono a trovare consonanze politiche e morali significative.

Il Gruppo parlamentare della Sinistra Indipendente. era formato da personalità di diversa estrazione politica sociale e religiosa, tra i quali mi piace ricordare Altiero Spinelli, Raniero La Valle, Adriano Ossicini, credenti questi ultimi due, il Giudice Cesare Terranova, ucciso dalla Mafia nel 1979 e altri.

In uno scritto diretto a Sandro Galante Garrone, diceva:” Sai Sandro se riuscissimo a portare al Senato un gruppetto di uomini non di partito, fortemente rappresentativi della Resistenza, avremmo fatto un colpo grosso, l’ultima degna ed energica sortita della Resistenza, di effetti politici indubbi. E più ancora di forte ripercussione morale, capace di orientare, fuori dei partiti e non ad uso dei partiti quel vasto, indistinto, dispersivo, fluttuante movimento di giovani che a me interessa più che l’operazione politica”.
Ecco, in queste poche parole è custodita la concezione anche pedagogica che aveva Parri della politica e dei partiti come strumento per la realizzazione dei principi radicati nella Costituzione.
L’adesione ad una forza politica come mezzo per la costruzione della nazione repubblicana, per la formazione morale di un popolo libero e consapevole, europeo e italiano, prima ancora che azionista, comunista socialista, repubblicano, liberale o democristiano.
La nazione, intesa come comunità di destino, secondo i canoni del mazzinianesimo; la lotta al fascismo come occasione e fattore per la rigenerazione morale, anzi riforma morale che il Risorgimento non era riuscito a completare.
E proprio riflettendo su quella lotta e sull’esperienza di governo, Maurizio capisce che con la sua dipartita anche la Resistenza con i suoi lutti, le sue fatiche, le speranze di cui era portatrice, sarebbe stata dimenticata, relegata in un cantuccio così come saranno relegati in un angolo molti di quelli che realmente ne furono i protagonisti.
E così sarà per un bel pezzo di strada. Con il passare del tempo- ricordiamo che la legge per il funzionamento della Corte Costituzionale è del 1953, sebbene la Corte inizi a funzionare nel 1956,- tuttavia, si avrà l’affermazione dei principi fondativi dell’ethos repubblicano incardinato sui principi scolpiti nella Carta.

Scrive Parri e con lui concludo questo ricordo:

E’ venuta La Costituzione. Un poco per volta, un pezzo per volta, gli Italiani l’hanno scoperta. Cessata la persecuzione partigiana, che presentivo nel mio congedo, si è scoperto che sulla copertina di questo libro c’è l’impronta del sangue della lotta di liberazione e dei suoi martiri. E, un passo dopo l’altro, nel repertorio degli oratori ufficiali si è inserito lo slogan: la Resistenza come matrice della Costituzione. E’ giusto, potrebbe essere una vendetta se non è retorica”.

di Ferruccio Parri 

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