8-9 settembre 1943: gli americani bombardano Frascati, vengono consegnate armi e munizioni ai dirigenti comunisti

Alle ore 12,00 dell’8 settembre aerei americani bombardano Frascati, dove, a villa Torlonia,  avrebbe dovuto esserci il quartier generale del generale Kesselring[1], comandante delle armate tedesche del Sud.[2] Perdono la vita  500 civili e oltre 200 soldati tedeschi. Alle 16,00 l’agenzia Reuters annuncia la resa senza condizioni dell’Italia.[3]  La notizia viene confermata poco dopo, alle 18.30,  da Radio Algeri, dal generale Eisenhower. Finalmente alle 19,42 dai microfoni della radio nazionale, l’Eiar,  in registrazione, il maresciallo Badoglio[4] annuncia l’armistizio[5], ordinando la cessazione degli atti di guerra contro gli Alleati ma anche, ingenerando un tremendo equivoco, di opporsi con le armi “ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.  Ai comandi italiani, sia di stanza in Italia sia a quelli su tutti i fronti della guerra,  era stata inviata la “memoria operativa n.44”  e i due promemoria che l’accompagnavano, il secondo in particolare, erano sufficientemente chiari. Il secondo, appunto, dava disposizione affinchè si dovessero “avvertire francamente i tedeschi che le truppe italiane avrebbero preso le armi contro di loro, se fossero state oggetto di atti di violenza armata”.

A Roma, in quelle ore i militari italiani possono contare su circa 60.000 uomini[6], mentre i tedeschi su 12.000 nelle zone a sud e a nord della capitale[7], su 14.000 paracadutisti a Pratica di Mare8 e su 350 carri armati pronti ad intervenire. Alle 20,20, ricevuto il messaggio “Il grano è maturo, Alarico subito”, tutti i reparti tedeschi si mettono in movimento in tutta la penisola.

Nella notte viene consegnato un carico di armi e munizioni, caricati su due camion, ai dirigenti comunisti Luigi Longo9, Antonello Trombadori10, Felice Dessì11 che, con Roberto Forti12, Carlo Carboni13 Lindoro Boccanera14 organizzano quattro depositi in diverse località della capitale. Uno presso il Museo del Bersagliere a Porta Pia, un altro nel rione Prati in un magazzino di via Silla, uno in via del Pellegrino, nell’officina del meccanico ciclista Rinaldo Collalti15, e l’ultimo a Testaccio affidato a Umberto Scattoni16 e al fratello.

Tra le 20,00 e le 23,00 reparti tedeschi della 2a divisione paracadutisti attaccano, disarmandoli, reparti italiani lungo la costa di Nettuno e Anzio, a Ladispoli e nei Castelli Romani.

Alle 20,30 circa, a Mezzocammino paracadutisti tedeschi, partiti da Ostia, si impadroniscono con la forza di un deposito di carburante17, presidiato da soldati italiani, dando così inizio la battaglia per la difesa di Roma. Sopraffatta la piccola guarnigione, attaccano il caposaldo n.5 al Ponte della Magliana.  Carabinieri e militi della PAI18 accorrono in aiuto del caposaldo.

Al ponte della Magliana, fingendo di voler “fraternizzare”, di mettere in atto una tregua e offrendo sigarette, i tedeschi invitano i militari italiani a consegnare le armi, scambiandole con generi alimentari. Ma subito dopo i tedeschi aprono il fuoco con i mitra, lanciando bombe a mano e con colpi di mortaio. Cadono 8 Granatieri, i primi morti nella difesa di Roma[8]. I paracadutisti tedeschi vengono tuttavia respinti. I Granatieri, seppur giovani e in combattimento per la prima volta, resistono per ore[9].  Alla Cecchignola e sulla Via Ostiense, nella attuale zona dell’EUR, i militari del 1° Reggimento Granatieri[10] e del reparto corazzato “Lancieri di Montebello”, della divisione Ariete, si oppongono ad una divisione di paracadutisti tedeschi del battaglione “Diavoli verdi”. La mattina del 9, nonostante le artiglierie italiane siano fuori combattimento, ancora resistono sull’Ostiense.

Combattimenti hanno luogo alla Casetta Rossa delle Tre Fontane, sulla Laurentina.

E mentre i Granatieri e i Lancieri di Montebello  sacrificano la loro vita, il Re, la sua famiglia, i generali dello Stato Maggiore, lungo la via Tiburtina stanno preparandosi alla fuga verso Pescara.[11] Ad Ortona li sta già aspettando un cacciatorpediniere. Combattimenti si hanno anche sulla Tuscolana, sulla Casilina, sulla Prenestina e all’aeroporto di Centocelle, a Ponte Mammolo, sulla via Aurelia.

Gli americani bombardano Santa Marinella.

I paracadutisti tedeschi liberano il generale Cavallero, Buffarini-Guidi, Ubaldo Soddu,  il generale Renzo Montagna[12] e altri gerarchi fascisti, imprigionati dopo il 25 luglio a Forte Boccea.

Aldo Pavia

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[1] I morti sotto le bombe, sganciate da 130 bombardieri americani, sono circa 1.000 su un totale di 5.000 cittadini. Più dell’80% delle case distrutte. Villa Torlonia viene colpita ma rimangono intatti i servizi di telecomunicazione tedeschi. Il comando di Kesselring si trasferì, fino al giugno 1944, in gallerie bunker del Genio militare italiano a Sant’Oreste.  In precedenza un altro bombardamento su Roma ebbe luogo il 19 luglio 1943 su San Lorenzo, sugli aeroporti di Ciampino e Littorio e sui quartieri Tiburtino, Prenestino e Tuscolano. 662 bombardieri americani sganciarono, nel corso di due ore, 4.000 bombe per 1.060 tonnellate di esplosivo. Circa 3.000 i morti, oltre 11.000 i feriti. 40.000 i romani rimasti senza tetto. Tra le vittime anche il comandante generale dei Carabinieri, Azolino Hazon. Il 13 agosto , 409 aerei scaricano 500 tonnellate di bombe su Tiburtino, Casilino, Tuscolano e Prenestino. 502 i morti e 2.024 i feriti. Mario Avagliano, Il partigiano Montezemolo. Dalai editore 2012.

[2] Le armate del Nord erano comandate dal feldmaresciallo Erwin Rommel. Rommel non riteneva si dovessero difendere Roma  e il Sud dell’Italia. Per lui dovevano essere abbandonate. Verrà poi allontanato e il comando unificato passerà dal 6 novembre 1943 a Kesselring. Dopo la guerra Kesselring venne processato dal tribunale militare inglese a Venezia e condannato all’ergastolo. La pena venne poi ridotta a 21 anni, per essertepoi liberato nel 1952.

[3] Il ministro degli esteri nazista, Joachim von Ribbentrop ne informa subito l’ambasciatore a Roma Rudolf Rahn. Questi si mette in contatto con il generale Roatta che smentisce la notizia e accusa gli inglesi di aver diffuso “una spudorata menzogna”.

[4] Capo del Governo italiano dopo il 25 luglio 1943.

[5] L’armistizio con gli Alleati era stato firmato il 3 settembre dal generale Castellano, a Cassibile, località in provincia di Siracusa, alla presenza del generale americano Dwight Eisenhower e del generale inglese Harold Rupert Alexander. Nella stessa giornata gli Alleati sbarcarono in Calabria.

[6] Erano disponibili otto divisioni, seppur a ranghi ridotti. I “Granatieri di Sardegna”, la “Piave”, la Centauro, l’ “Ariete”, la “Piacenza”, la “Sassari”. Altre due, la “Lupi di Toscana” e la “Re” non erano per  ancora arrivate nella capitale. A queste divisioni andavano aggiunte le forze dei Reali Carabinieri, della Regia Guardia di Finanza, della Polizia  Africa Italiana. Lungo le costa laziali si trovavano la 220a e la 221a divisioni costiere. In totale quindi 88.000 uomini.  In Italia, dopo il 25 luglio 1943, i tedeschi potevano contare su 17 divisioni, 7 quelle motorizzate, oltre a 150.000 uomini non inquadrati nelle divisioni. Mario Avagliano, Il partigiano Montezemolo. Storia del capo della resistenza militare nell’Italia occupata. Dalai editore 2012.

[7] Le forze tedesche erano acquartierate a tra Bolsena e Orvieto (3a Divisione Panzergranadieren), Nettuno, Ladispoli, sui Colli Albani e sui Castelli Romani, in posizioni strategiche per il controllo della capitale.

[8] Tra i caduti, il capitano Vincenzo Pandolfo, nativo di Palermo, Medaglia d’Oro al Valor Militare, e il tenente Gino Niccoli, romano.

[9] Perderanno 38 uomini. I tedeschi 22. Cesare De Simone, Roma città prigioniera. I 271 giorni dell’occupazione nazista (8 settembre ’43-4 giugno ’44). Mursia 1994.

[10] Il generale Gioacchino Solinas, fascista convinto,  che in quei giorni comandava i Granatieri, aderì poi alla RSI e venne nominato, il 26 gennaio 1944, comandante regionale dell’esercito fascista di Salò .

[11] Il Re e Badoglio fuggiranno alle 5 del mattino del 9 settembre, percorrendo la Tiburtina, non contrastati dai  tedeschi. Anzi, secondo una testimonianza di Umberto di Savoia, i tedeschi toglievano i blocchi e salutavano militarmente.

[12] Diventerà capo della polizia di Sal  dal 6 ottobre 1944.  Buffarini-Guidi sarà il ministro dell’Interno di Salò . Enrico Caviglia (1862-1945 ).  Nel 1917 Generale di Corpo d’Armata e nel 1919 Senatore del Regno. Dal 1924 critico nei confronti del fascismo ed in particolare della politica di Mussolini. Che comunque nel 1924 lo nominò  Maresciallo d’Italia.

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