24 marzo 1944: l’eccidio delle Ardeatine

Strage delle Ardeatine, cave a due chilometri da Porta San Sebastiano. In circa 5 ore, nel pomeriggio, vengono assassinati con un colpo d’arma da fuoco alla nuca 335 italiani, di cui 75 ebrei[1]. 285 nominativi erano presenti in una lista di Kappler[2], 50 in una fornita dal questore Pietro Caruso a da Pietro Koch.

Incaricato di controllare le liste era il capitano delle SS Erich Priebke, mentre il capitano SS Karl Schutz aveva assunto il comando materiale delle operazioni di fucilazione.

L’eccidio viene organizzato da Kappler e portato a termine dalle SS, in quanto il comandante del battaglione “Bozen” si rifiuta di fornire il plotone di esecuzione poiché i suoi uomini sono “cattolici credenti”. E in quanto tali non possono uccidere a freddo.[3]

Intorno alle ore 20,00, terminato l’eccidio, le cave vennero fatte saltare con cariche esplosive.

I direttori dei giornali romani avevano ricevuto direttive precise su come si dovesse riferire quanto accaduto a via Rasella.[4] Nessun comunicato, radio o con manifesti, venne rivolto ai romani affinchè i responsabili dell’azione militare si consegnassero ai tedeschi. Smentendo quanto affermato a posteriori circa fantomatici manifesti, lo stesso generale Kesselring, durante il processo a Roma nel 1946, alla domanda rivoltagli in merito all’opportunità di rivolgersi alla popolazione romana, rispose: “Ora, in tempi più tranquilli, dopo due anni passati, devo dire che l’idea sarebbe stata buona”. Ma: “No. Non lo feci”.

Aldo Pavia

(nella foto il Mausoleo delle Fosse Ardeatine che ricorda la strage)

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[1] Secondo Kappler era meglio includere ebrei nella lista piuttosto che italiani. Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Donzelli 2005. 21 degli ebrei assassinati alle Ardeatine erano stati arrestati in quanto ebrei ma anche per la loro attvità antifascista e resistenziale, come risulta dalla documentazione dell’ANFIM.

[2] Nella lista di Kappler, oltre agli ebrei, erano stati inseriti tutti gli ufficiali del FCMR, quelli della Marina, dell’Aviazione e dell’Esercito e tutti i carabinieri prigionieri dei tedeschi e ritenuti dallo stesso Kappler estremamente pericolosi. A loro aggiunse i prigionieri politici, in particolare quelli comunisti e azionisti. Per raggiungere il numero di vittime prefissato, aggiunse anche 10 civili tra quelli rastrellati a via Rasella. Mario Avagliano, op. cit. pag.282. 279 Questa lista fu modificata, con un cambio di 11 nominativi, da Donato Carretta,  direttore di Regina Coeli. Mario Avagliano, op. cit. pag.286.

[3] Sia Kappler che Priebke e Shutz parteciparono personalmente alle uccisioni.

[4] “L’Osservatore Romano”, in una nota dal titolo “Carità civile” , invitava la popolazione a non commettere atti che potessero essere “motivo di reazione” che avrebbero portato a “una indefinibile serie di dolorose contese”. Per “pacificare gli animi e confortare le coscienze, in attesa di tempi migliori”. 282 Udienza del 25 novembre 1946, Tribunale militare di Roma.

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