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20-21 dicembre 1943: nella notte due squadre partigiane dei Castelli Romani minano il Ponte Sette Luci
Nella notte tra il 20 e il 21 dicembre, dopo un primo insuccesso la notte tra l’11 e il 12 novembre, due squadre partigiane dei Castelli Romani, una con Ferruccio Trombetti e Alfredo Giorgi, l’altra composta da Enzo D’Amico, Pino Levi Cavaglione[1] e Giuseppe Mannarino, minano con 28 chili di esplosivo[2] il Ponte Sette Luci, al 25° chilometro della linea ferroviaria Roma – Formia – Napoli. Pochi minuti dopo la mezzanotte il ponte salta in aria mentre un convoglio tedesco lo sta percorrendo. Quasi contemporaneamente un’altra squadra partigiana, con una mina di 32 chili di esplosivo, sulla linea ferroviaria Roma – Cassino, all’altezza di San Cesareo[3], tra i caselli 14 e 15, colpisce altrettanto duramente i tedeschi, che complessivamente perdono, tra morti e feriti, 400 uomini. I tedeschi credono che le due azioni militari siano state opera dei paracadutisti alleati. Prorompe Pino Levi Cavaglione: “No, dannati tedeschi, questa volta il colpo non vi è venuto dal cielo, non vi è venuto dagli aviatori inglesi. Vi è venuto da noi! Da noi che in questo momento ci sentiamo orgogliosi di essere italiani e partigiani e non cambieremmo i nostri laceri abiti bagnati e fangosi per nessuna uniforme”.[4]
Aldo Pavia
(nella foto una biografia di Giuseppe Levi Cavaglione)
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[1] Pino Levi Cavaglione (Genova 1911-1971), ebreo, legato ai fratelli Rosselli, aderisce al Movimento “Giustizia e Libertà”. Nel 1938 viene inviato al confino. Liberato alla caduta del fascismo nel 1943, poco dopo viene di nuovo arrestato e inviato in più luoghi di internamento. Dopo l’8 settembre, ripara a Genova ma per sfuggire ad una nuova cattura , raggiunge Roma dove entra in contatto con esponenti del Partito Comunista, che lo inviano ai Castelli, ove entra in una banda a Genzano. A lui si uniscono altri due ebrei romani, Marco Moscati, che verrà assassinato alle Ardeatine, e Alberto Terracina. Il 2 novembre 1943, verrà affidato a lui, a Fabio Braccini e Ferruccio Trombetti il comando di tutte le formazioni garibaldine ai Castelli. Poi, su proposta di Severino Spaccatrosi viene nominato unico comandante militare. Il 27 febbraio viene traferito a Palestrina. Arrestato dai tedeschi il 4 marzo 1944, riesce a fuggire. A Roma si nasconde nel Convento di S. Onofrio, poi miracolosamente sfugge al rastrellamento del Quadraro. Il padre e la madre, arrestati a Genova il 6 novembre 1943, vengono uccisi al loro arrivo a Birkenau, l’11 dicembre. Dopo la Liberazione torna a Genova e inizia l’attività di avvocato. Nel 1961, Nanni Loy, ispirandosi al suo diario, realizza il film “Un giorno da leoni”.
[2] Il materiale esplosivo fu fornito dai generali Sabato Martelli Castaldi e Roberto Lordi del FCMR e confezionato dal minatore Marcaurelio Trovaluci.
[3] (Enrico Magni, a cura), Severino Spaccatrosi. Antifascista nei Castelli Romani. Gruppo Consigliare della Provincia di Roma del Partito dei Comunisti Italiani. 2004.
[4] Pino Levi Cavaglione, Guerriglia nei Castelli Romani. Melangolo 2006.