19 febbraio 1970 muore Francesco Fancello

Nasce a Oristano il 19 marzo 1884; i genitori sono originari di due centri del Nuorese (il padre di Dorgali, la madre di Osidda) è il terzo di otto fratelli tra cui Nicolò, giornalista di spicco ed esponente del sindacalismo rivoluzionario che aderirà più tardi al fascismo. Durante l’infanzia si sposta per l’Italia dietro i trasferimenti del padre magistrato, ed infine si stabilisce a Roma dove compie gli studi fino alla laurea in Giurisprudenza; dopo la guerra diviene un dirigente degli Ospedali Riuniti, da cui dovrà dimettersi nel 1927 per aver rifiutato di prestare giuramento al regime.

La sua formazione politica non passa attraverso l’appartenenza ai partiti organizzati e si ispira soprattutto al meridionalismo salveminiano e al sindacalismo rivoluzionario. Abbastanza scettico nei confronti dell’intervento, nel 1915 si arruola tuttavia volontario; ufficiale degli arditi, ferito, viene decorato due volte con Medaglia d’Argento al Valore Militare.

Dopo il conflitto è un esponente di primo piano del movimento dei reduci. Collabora – con lo pseudonimo “Cino d’Oristano”- alla rivista “Volontà”, che afferma la necessità di un partito dei combattenti che si ponga alla testa della richiesta di rinnovamento politico e morale del paese scaturita dal conflitto. Fallito questo disegno con i congressi napoletani dell’estate 1920 – cui partecipa da protagonista – è tra i fondatori del Partito Sardo d’Azione, espressione più solida e rappresentativa di questa tendenza, collabora al suo quotidiano “Il Solco”, costituisce uno dei principali punti di riferimento politico e soprattutto funziona da prezioso tramite fra il PSDA e la dimensione politica nazionale. Con i suoi interventi cerca di orientare il partito dei Quattro Mori in direzione di un socialismo ruralista con una forte caratterizzazione autonomista e meridionalista (collabora infatti anche al “Corriere dell’Irpinia” di Guido Dorso).

Si schiera, fin dalle origini, contro il fascismo; con Camillo Bellieni analizza lucidamente la situazione successiva alla marcia su Roma in Italia e in Sardegna ed il ruolo che in essa spetta al PSDA; entrambi si battono accanitamente per trattenere sulla strada della fusione con il PNF quei dirigenti sardisti e combattenti – Lussu in testa – che avevano idee assai poco chiare non solo sul da farsi in tale difficile frangente, ma soprattutto sulla natura antidemocratica e centralista del fascismo. Delle caratteristiche del regime nell’isola restituirà un quadro sintetico ed efficace in un fondamentale contributo apparso, nel 1951, sul numero speciale de “Il Ponte” dedicato alla Sardegna.

Dopo il licenziamento dall’Azienda ospedaliera, viene assunto da Lucangelo Bracci Testasecca, uno degli animatori di “Volontà”, come amministratore della sua azienda agricola a Montepulciano e precettore dei suoi figli adolescenti.

Viene arrestato il 2 novembre 1930 a Roma, in seguito alla caduta del centro interno di Giustizia e Libertà causata dalla delazione di Carlo Del Re: presso Riccardo Bauer vengono trovati messaggi in inchiostro simpatico provenienti da Montepulciano. Nella rete cospirativa di GL egli rappresentava, con lo pseudonimo Mariano, il tramite fra Lussu da un lato ed il nucleo sardo dall’altro; il suo arresto provoca anche quello di numerosi aderenti al movimento nell’isola, fra cui l’avvocato repubblicano Michele Saba e il sardista Anselmo Contu, che sarà il primo presidente del consiglio regionale sardo. Insieme al più attivo esponente del gruppo sardo di GL – Cesare Pintus, futuro sindaco di Cagliari liberata – e con Nello Traquandi compare il 27 giugno 1931 davanti al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, che lo condanna a 10 anni di reclusione. La madre, che aveva perduto in guerra un altro figlio e soffriva molto la rottura politica e personale tra Francesco e Nicolò, rifiuterà sempre di sottoscrivere una domanda di grazia; dopo il processo gli scrive: “Credo che tenga più al mio giudizio che a quello del Tribunale speciale. Bravo, sono contenta di te”.

Viene recluso nel carcere di Viterbo, poi a Civitavecchia per tornare infine a Regina Coeli, dove vengono concentrati nel Braccio IV tutti i condannati di GL. È quindi compagno di detenzione di Riccardo Bauer ed Ernesto Rossi, con i quali condivide i momenti comuni della giornata carceraria,

ricchi di studio, discussioni ed anche condivisione umana. Dell’esperienza carceraria restano lettere alla madre, mai pubblicate in volume, ed i frequenti affettuosi riferimenti che gli dedica Ernesto Rossi, il quale lo descrive nel suo splendido epistolario come “una personalità interessantissima, [che] ha una cultura molto vasta, che ha saputo assimilare completamente […] ed ha facoltà logiche non comuni”.

Nel dicembre 1935 viene scarcerato solo per essere destinato al confino di Ponza, dove stringe con Sandro Pertini un profondo rapporto di amicizia; per il suo atteggiamento fiero, è considerato dalla direzione della colonia uno dei confinati più irriducibili. “È un essere eccezionale – scrive di lui Salvemini -: calmo, sereno,dolcissimo, buono come una fanciulla, ma saldo e ferreo come un eroe”. Nell’estate 1939 è trasferito a Ventotene dove di lì a poco lo raggiunge Rossi, con il quale tuttavia i rapporti si deteriorano poiché Fancello non ne condivide l’evoluzione verso posizioni di federalismo europeo.

Liberato il 12 agosto 1943, torna a Roma; aderisce al Partito d’Azione di cui partecipa al primo convegno clandestino a Firenze. Fin dall’8 settembre è uno degli organizzatori della Resistenza azionista nella capitale, dirige l’organo del partito “L’Italia libera” e sfugge fortunosamente all’arresto dell’intera redazione da parte dei tedeschi. Nella clandestinità scrive l’importante opuscolo Il Partito d’azione nei suoi metodi e nei suoi fini, uscito clandestinamente nel gennaio 1944. Dopo la Liberazione – e fino allo scioglimento – entra a far parte dell’Esecutivo del PDA; si schiera con la tendenza di sinistra, difende tuttavia l’unità del partito in un appassionato intervento al congresso di Roma del 1946. Nel 1944-45 rifiuta a più riprese un incarico ministeriale – farà lo stesso con ogni offerta di candidatura parlamentare – ma siede nella Consulta Nazionale in cui ricopre l’incarico di vice presidente della Commissione Affari Politici e Amministrativi. Riprende anche il suo vecchio lavoro, come commissario degli Ospedali Riuniti.

Nel 1947 confluisce, con i resti del Pd’A, nel Partito Socialista Italiano. Dal 1955 al 1961 è condirettore, al fianco di Sandro Pertini, del quotidiano genovese di orientamento socialista “Il Lavoro”. Malgrado il suo forte rapporto con Emilio Lussu, non lo segue nella scissione del PSIUP. Muore a Roma il 19 febbraio del 1970.

Tra i suoi scritti di maggior rilievo, due romanzi che firma con lo pseudonimo Francesco Brundu: Il diavolo tra i pastori (Roma, 1945); Il salto delle pecore matte (Roma, 1949).

Aldo Borghesi

Per approfondire si vedano i suoi scritti:

Francesco Brundu “Il Partito d’Azione nei suoi metodi e nei suoi fini”, Partito d’Azione. Sezione Toscana, Firenze, 1944

Si vedano anche gli studi su di lui:

Carmela Sechi “Francesco Fancello”, Lacaita, Manduria, 2011; Gianfranco Contu “Francesco Fancello teorico e militante dell’azionismo”, Bolotana, 1999

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