Il libro, scorrevole e fluido anche perché caratterizzato da un apparato scientifico leggero, si configura come una riflessione appassionata e rigorosa su uno dei più importanti leader dell’antifascismo. È diviso in tre parti, alle quali segue un’appendice con tre testi dello stesso Lussu, tra cui la commemorazione di Gramsci alla Costituente. Nella prima parte, Bistarelli affronta la formazione del futuro dirigente del Partito d’Azione che, visceralmente legato alla terra d’origine, dopo una parentesi a Roma per terminare il liceo, si laureò nell’aprile 1915 a Cagliari in giurisprudenza senza eccellere negli studi. Durante il percorso universitario Lussu concluse il corso allievi ufficiali e, da convinto interventista, pose le basi per la partecipazione alla guerra. Mobilitato nel fatidico maggio 1915 e destinato alla brigata Sassari, visse il suo battesimo di fuoco alla fine di luglio e, da subito, mostrò grande coraggio tanto da guadagnarsi due medaglie al valor militare e la promozione a tenente nel successivo dicembre. Diventò capitano nel novembre del 1916 e fu nominato comandante del III battaglione del 151° reggimento nel marzo 1918, dopo essere rimasto ferito due mesi prima. Per quasi tutto il conflitto Lussu fu dunque al fronte e, da un lato, interpretò con estrema serietà il ruolo di combattente, costituendo un vero e proprio esempio per i suoi soldati ma, dall’altro, comprese appieno le drammatiche contraddizioni della guerra e le enormi ingiustizie insite nei suoi meccanismi. A cominciare dallo squilibrato rapporto fra gli ufficiali (in particolare i più alti in grado) e le truppe, mandate spesso allo sbaraglio senza alcuna reale necessità e in assenza del minimo rispetto per la vita umana, basti pensare alla barbara usanza della decimazione. Lussu uscì dalla guerra trasformato proprio da questa traumatica presa di coscienza e, pur rimanendo legato a questa esperienza e in primis ai suoi commilitoni, con i quali aveva condiviso immani sofferenze, modificò in modo significativo il suo universo valoriale iniziando a capire come, dietro alla retorica patriottica, si nascondessero nefandezze inaccettabili. La guerra non fu dunque soltanto una cesura personale, ma «anche il rito di iniziazione alla militanza politica» (p. 33) e, pensando al fronte del Carso, l’inizio del suo avvicinamento al socialismo, come Lussu stesso scriverà poi. L’esperienza nelle trincee e le istanze autonomiste sarde si fusero nel 1921 con la nascita del Partito Sardo d’Azione (per Gobetti e Gramsci «il gruppo politico più innovativo del primo dopoguerra», scrive Sonia Marzetti nella prefazione, p. XI), di cui Lussu (già presidente della sezione di Cagliari degli ex combattenti) divenne nello stesso ’21 deputato, trasformando «la richiesta di decentramento di fine Ottocento, aspirazione di una élite, a proposta politica di massa» (p. 36).

La seconda parte del libro muove dalla maturazione dell’antifascismo. Di fronte all’avvento del fascismo, pur incontrando difficoltà nel rapporto con Camillo Bellieni, suo compagno d’armi e di partito, Lussu ribadì la ragion d’essere del PSd’A e si oppose radicalmente al nascente totalitarismo dentro e fuori dal Parlamento, in cui fu confermato nelle elezioni del 1924. Particolarmente temuto da Mussolini perché considerato unanimemente un eroico combattente della Grande guerra e, dunque, una figura molto scomoda perché incarnava un autentico patriota, del tutto incompatibile però con il reducismo intriso di nazionalismo e antisocialismo di marca fascista, Lussu aderì all’Aventino. Poi, di fronte alla decisione del PSd’A di sciogliersi ed entrare in clandestinità nel dicembre del 1925, manifestò la sua opposizione alla violenza squadrista anche attraverso il modo di svolgere la professione di avvocato. Processato per omicidio volontario dopo aver ucciso un fascista per legittima difesa, fu assolto, scarcerato ma condannato a cinque anni di confino. Approdò così a Lipari, dove conobbe vari esponenti di primo piano dell’antifascismo al cui fianco iniziò una nuova fase della vita. Tra questi Parri, Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti. Dopo ben quattro tentativi falliti, proprio con Rosselli e Nitti, Lussu fuggì da Lipari in modo rocambolesco la sera del 27 luglio 1929 giungendo a Parigi, via Tunisi e Marsiglia. La fuga, preparata da Tarchiani che si era messo in contatto con Ernesto Rossi e con Salvemini, rappresentò l’inizio di una nuova stagione dell’antifascismo in esilio, culminata nella fondazione di Giustizia e Libertà il cui motto, Insorgere! Risorgere!, fu ispirato proprio da Lussu. Mentre in Italia, nella prima metà degli anni Trenta, la repressione del dissenso portava in carcere i dirigenti di GL, all’estero il movimento giocava un ruolo centrale nonostante il difficile rapporto con i socialisti, che nel 1934 determinò lo scioglimento della Concentrazione antifascista. Lussu, pur in precarie condizioni di salute, fornì un contributo teorico importante (rivalutato dalla storiografia solo negli ultimi decenni) alla definizione dell’identità ideologico-culturale di GL ma, pur mantenendo sempre un rapporto molto stretto con Rosselli, entrò spesso in polemica con i vertici del movimento. Spinto da Salvemini, durante l’esilio politico Lussu scrisse libri di assoluto rilievo quali La catena, Marcia su Roma e dintorni, Un anno sull’Altipiano (da cui il regista Francesco Rosi trasse liberamente Uomini contro nel 1970) e Il cinghiale del diavolo. Questi scritti, che furono nello stesso tempo autobiografici e riferiti all’evoluzione degli scenari politici generali, quasi come se Lussu si facesse “storico del presente” proprio sulla scorta della lezione salveminiana, nei successivi decenni rivelarono a un pubblico sempre più vasto le sue doti di scrittore (e di polemista). Sul piano personale, l’incontro con Joyce (Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti, sorella di Max Salvadori) in Svizzera nel 1933 fu uno snodo centrale della sua vita. Ma, prima di culminare in una sorta di matrimonio “politico” e laico alla presenza dei Modigliani e dei Trentin nel 1938 a Parigi, che li legò indissolubilmente fino alla scomparsa di Lussu nel 1975, il rapporto tra i due rimase quasi “sospeso”. Sia per le perplessità di Emilio, molto dubbioso sulla possibilità di conciliare un legame personale serio con la complessa vita del militante rivoluzionario che riteneva di essere, sia per il trasferimento in Africa di Joyce (che studiò a fondo il colonialismo) e il suo primo (e breve) matrimonio.

Nella terza parte del volume, Bistarelli approfondisce il sodalizio con Joyce (sposata nel 1944) e, volutamente senza grandi approfondimenti archivistici, affronta la parte forse più studiata della biografia di Lussu anche nel III millennio: la militanza nel Partito d’Azione (dove guidò l’ala socialista più radicale in contrasto con la componente liberaldemocratica di La Malfa); la Resistenza; l’attività come consultore nazionale, deputato della Costituente e ministro dell’Assistenza postbellica nel Governo Parri. Poche pagine, sulla falsa riga della vecchia e ricchissima biografia di Giuseppe Fiori del 1985 (ripubblicata nel 2000 e nel 2010), sono dedicate all’impegno di Lussu, contrario al centro-sinistra, nel PSI e nel PSIUP dove, a partire dal 1964, egli svolse la sua ultima stagione di militanza politica attiva fino al 1970, due anni dopo la pubblicazione di un altro testo importante: Sul Partito d’azione e gli altri. Molto interessante il capitolo conclusivo del libro che, per alcuni aspetti, riprende il titolo del volume stesso. Bistarelli, in sostanza, ci dice che la storia politica e personale di Lussu oltrepassa le vicende di una singola figura e coincide con le principali cesure della storia collettiva del Novecento italiano e del fuoriuscitismo antifascista. Lussu affrontò il suo ruolo di esule politico in Diplomazia clandestina, dove scrisse non soltanto dei suoi contatti con gli altri antifascisti, ma anche e soprattutto dei suoi rapporti con gli Alleati durante la guerra, per lo più infruttuosi.

Considerate le tante stagioni attraversate, si può individuare un filo rosso che indichi una coerenza di fondo nell’affrontarle? In parte sì. Lussu, uomo coraggioso e determinato, fu sempre caratterizzato da un’ironia (e autoironia) intelligente. Mostrò, come scrisse Foa, una notevole vena poetica che manifestò nella scrittura e nell’oratoria. Anche gli avversari gli riconobbero sobrietà e correttezza, l’intransigenza lo qualificò fino alla fine. Fu sempre realmente attento agli altri, mostrando idiosincrasia per il potere nelle sue varie forme e un autentico disinteresse personale. Mantenne sempre una chiara vena rivoluzionaria che non rimase confinata nella teoria ma che egli cercò sempre di tradurre in pratica, mettendosi in gioco in prima persona. Non sempre la sua azione fu accompagnata dall’elaborazione di un pensiero organico, guardando in particolare alla costruzione e al fine ultimo del socialismo. Arrivato al marxismo non tramite i libri ma attraverso l’esperienza, la sua distanza dal comunismo (inteso come dogma ideologico) e dalla prassi politica del PCd’I fu chiara e più volte argomentata, rigorosamente, durante la lunga fase della lotta antifascista. Tuttavia, rispetto all’URSS (si pensi solo all’atteggiamento di fronte all’invasione dell’Ungheria nel 1956), durante la Guerra fredda non manifestò la stessa rigidità e non condannò appieno quella forma di totalitarismo, neppure dopo la fine del frontismo. Questo nonostante il nesso tra autonomia e libertà, evidente anche nella sua adesione a una concezione federale (e regionalista) dello Stato, fosse stato un suo cavallo di battaglia fin dagli anni giovanili e dalle sue prime battaglie per l’amata Sardegna. Non colse, se non forse in minima parte, l’importanza del modello socialdemocratico poiché rimase ancorato a una concezione rigidamente classista della lotta per il socialismo, per lui del tutto incompatibile con la salvaguardia anche parziale del mercato (e delle sue storture). L’attualità di Lussu risiede nel suo approccio alla politica, di cui oggi si avverte la mancanza guardando non solo ai giovani. Senza idee forti è impossibile sognare per chiunque e l’utopia socialista, declinata in una forma diversa da quella novecentesca, anche se non si concretizzasse, favorirebbe le riforme democratiche, tanto evocate e poco realizzate. Lussu ha lottato tutta la vita per ampliare i diritti civili, politici e sociali senza rimanere indifferente di fronte a ogni forma d’ingiustizia. Forse la sinistra italiana (e non) dovrebbe guardare, senza retorica, anche al suo esempio per ritrovare un senso che sembra perduto.  

di Andrea Ricciardi

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