È ancora il 25 aprile; è ancora la Festa della Liberazione. Ma, anche quest’anno, la ricorrenza non è tale per tutti gli italiani. Infatti, in prossimità della scadenza, ecco di nuovo il copione vecchio di molti anni: dai tempi di Silvio Berlusconi, quando Francesco Storace chiedeva di cambiare i libri di scuola e Sandro Bondi, un personaggio ideologicamente un po’ confuso, definiva i partigiani i “rossi”, mutuando il franchismo per il quale i difensori della Repubblica erano i “rojos”. Oggi Storace e Bondi non sono più nemmeno nella memoria corrente e Berlusconi stenta, pateticamente, di sopravvivere politicamente a se stesso. Tuttavia, il seme allora gettato si è ben radicato continuando a dare i suoi frutti malefici. Vinceremo la pandemia, ma il virus del fascismo e di quanto ne segue in chiave moderna possiamo dire che non lo sconfiggeremo mai. Anzi, esso è uscito ancora dalle nostre viscere grazie al populismo dilagante.

Già ai tempi di Berlusconi ci si era provati a cancellare il 25 aprile; non ce la fecero. Di solito la propaganda contro l’antifascismo, in prossimità della ricorrenza, rialza la testa. L’obiettivo è sempre lo stesso: infangare ciò che il 25 aprile rappresenta. Ce lo dicono i social. Odio e solo odio. La riflessione, tuttavia, non deve limitarsi alla morale, bensì riguardare la politica; anche quella degli antifascisti che, per troppo tempo adulanti la retorica, sono poi affondati nella falsa saggezza dell’appartenenza storica. No: la questione dell’antifascismo non appartiene alla storia bensì alla politica. Un qualcosa cui la sedicente classe dirigente è assolutamente estranea; crediamo non abbia nemmeno la percezione minima del problema.

Antifascismo non è reducismo, ma consapevolezza delle radici storiche della nostra libertà, della Repubblica e della Costituzione. Le vicende della seconda Repubblica ci dicono che quando la politica ignora questa elementare verità, essa si smarrisce; la democrazia va a rischio; la politica democratica scompare e nasce il populismo; una ventata epidemica che prende tutti, anche coloro i quali, se non altro per dignità e rispetto verso le radici da cui provengono, dovrebbero esserne indenni.

Il canone dei neofascisti è sempre il solito: contrapporre l’Italia a quella dell’antifascismo. La via per tale operazione è sostituire, nella ricorrenza, Bella Ciao con la Canzone del Piave: un simbolo, contro un altro simbolo. Un’operazione senza senso, di puro e semplice cretinismo culturale e politico. I social permettono ai neofascisti di avere voce. Un movimento che si definisce “Noi siamo il popolo” – un minestrone di fascisti, populisti antivaccini, integralisti cattolici, tifosi di Trump e pure sostenitori di far circolare il virus tra i migranti –  sono sempre all’erta. Lo scopo è di contrapporre, al 25 aprile del tricolore della libertà, un 25 aprile nero ricolmo del marcio della nostalgia puntando, in questa situazione così difficile, sul disagio popolare affinché con il logoramento della Repubblica fondata sulla Resistenza si recidano anche le radici della democrazia. Ecco perché l’antifascismo non appartiene alla storia, ma alla politica.

Torna il refrain di sempre: trasformare il 25 aprile nella giornata per ricordare i caduti di tutte le guerre. E naturalmente cantare il Piave e non Bella Ciao. Due anni orsono se ne fece   portavoce il vice-presidente del Senato, Ignazio La Russa unitamente ad altri suoi compari affermando, testualmente: ”Sarebbe il modo migliore per ripartire in una Italia finalmente capace, dopo 75 anni da quel lontano 1945, di privilegiare ciò che ci unisce e che ci rende tutti orgogliosi di essere italiani.” Seguì l’invito, per il giorno della Liberazione, a “listare a lutto un tricolore e cantare la canzone del Piave che da sempre le Forze armate dedicano ai caduti di ogni guerra.” Insomma, La Russa riscalda una vecchia minestra, assurda logicamente prima ancora che politicamente. Certo che “Fratelli d’Italia” è altro rispetto al MSI, ma, tramite Alleanza Nazionale, è da lì che deriva: l’ultimo frutto di un albero malato che   continua a trasmettere certe sue patologie.

Quest’anno  potremo andare in piazza per la Festa della Libertà degli italiani; di una libertà che fu riconquistata anche per coloro che le erano contrari. Tuttavia, non mancherà il senso del ricordo, ma vorremmo che quel senso il Paese non lo avvertisse solo nella data che ricorda l’insurrezione nazionale e non solo per quanto significa l’anti-fascismo con il trattino, ma per ciò che vuol dire antifascismo senza trattino: il passaggio da un dato contro a uno a favore: la base delle nostre libertà repubblicane.

Infine, un’ultima doverosa osservazione. La classe politica che si fece le ossa nella Resistenza si rivelò all’altezza della sfida storica di dare all’Italia una democrazia pur non potendo affermare con sicurezza che tanta parte dei gruppi dirigenti del Paese potessero dirsi democratici. Dobbiamo continuare a esserle grati, tanto più a fronte dello spettacolo che offre la classe politica della seconda Repubblica che, da un quarto di secolo a questa parte, è andata sempre peggiorando.

Un giorno bisognerà ricostruire la democrazia italiana e, quindi, la sua politica anch’essa democratica; ossia, lo Stato.  Allora bisognerà ricordarsi, per ancorare la Repubblica a se stessa e alla Costituzione che la esprime, nei valori che veramente uniscono tutti gli italiani amanti della libertà e del progresso civile.

di Paolo Bagnoli

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