Donne ebree protagoniste. Tra il XIX e il XX secolo, a cura di Elisa Bianchi e Paola Vita Finzi, Edizioni Guerini e Associati, Milano 2023.
Il bel volume raccoglie gli atti di un seminario tenutosi a Milano nel novembre dello scorso anno dal titolo Emancipazione e istruzione. Donne ebree a cavallo tra XIX e XX secolo. I due termini evidenziano i poli intorno ai quali ruotano le questioni fondamentali riguardanti il ruolo delle donne ebree italiane nel passaggio costitutivo della modernizzazione del paese. In particolare, l’emancipazione ha per loro una valenza “doppia” rispetto alle consorelle di altra origine e fede: riguarda, in prima battuta, l’emancipazione delle comunità ebraiche dalla segregazione grazie all’apertura dei ghetti. Apertura che, se nel Lombardo Veneto segue la legislazione asburgica, nel Regno di Sardegna avviene dopo il 1848 con la concessione dello Statuto Albertino (estesa a tutto il Regno d’Italia nel 1861), mentre resta preclusa in tutti i territori dello Stato pontificio fino al 1870. L’emancipazione delle comunità ebraiche permette anche alle donne una rinnovata partecipazione, sia nell’ambito del gruppo di provenienza, sia nel contesto della comunità nazionale che si va costruendo. La seconda valenza del termine rimanda infatti all’adesione alle istanze del movimento femminista emancipazionista italiano che, proprio a cavallo dei due secoli, è estremamente ricco e fecondo di iniziative, proposte, studi e atti concreti. Il secondo tema richiamato nel titolo del seminario, “istruzione”, è altrettanto significativo poiché delinea il perimetro (sempre permeabile e in continua evoluzione) entro cui nascono esperienze a guida femminile di grande importanza. Un perimetro che stimola e fa fiorire dialoghi, incontri, iniziative, progetti, riflessioni in cui le donne ebree sono portatrici di istanze ed esperienze che si fondono, arricchendosi a vicenda, con quanto le donne legate al femminismo e, più in generale, all’attivismo sociale, culturale e politico, portano avanti. È un lavoro enorme, quello compiuto dalle donne italiane ed europee a cavallo dei due secoli, che disegna un modo totalmente nuovo di intendere l’assistenza, l’istruzione, la militanza stessa, in cui l’apporto delle donne provenienti dalla cultura ebraica italiana e internazionale è fondamentale e originalissimo. Un nome, fra tutti, è naturalmente quello di Anna Kuliscioff.
Il volume raccoglie undici interventi di studiose italiane e internazionali e si apre con il saggio di Monica Miniati, che affronta il contributo delle donne ebree nell’ambito dell’educazione e dell’istruzione tra Ottocento e Novecento. Il lavoro di Miniati si configura come una sorta di “cornice teorica”, una riflessione profonda e necessaria dal punto di vista storiografico su cosa significhi – o come si definisca – l’appartenenza all’ebraismo, su come le vicende ebraiche assumano senso non solo nell’evolvere al proprio interno, ma anche e soprattutto nel costante rapporto con la contemporaneità. La complessità della relazione tra ebraismo e modernità emerge con forza laddove l’esclusione plurisecolare costringe una comunità a sviluppare specialità che si rivelano particolarmente adatte in un contesto di sviluppo e passaggio: il commercio, la legge, la medicina, l’interpretazione testuale e la mediazione culturale sono tra le più antiche “specialità ebraiche” divenute tra le più importanti occupazioni moderne (p. 11). In uno stato in costruzione come è il Regno d’Italia, l’alto livello di istruzione degli ebrei permette loro di partecipare «all’edificazione della struttura amministrativa», facendo sì che la borghesia ebraica sia e si senta totalmente affine (moralmente, politicamente e strutturalmente) a quella «borghesia umanistica» che guida il processo di modernizzazione del paese (p. 13). Sono riflessioni di grande interesse e importanza, poiché affrontano il tema dell’ebraismo italiano anche come “prisma” per approfondire i processi della modernizzazione italiana a cui partecipano attivamente le donne ebree. Donne portatrici di un bagaglio culturale superiore alla scarsa alfabetizzazione delle italiane, come le consorelle scontano tuttavia, nella scelta degli ambiti lavorativi, «i pesanti limiti imposti dalla loro appartenenza di genere» (p. 14). Ecco quindi che educazione e istruzione sono, di necessità, i luoghi dove le donne possono esprimere la loro capacità e «partecipare attivamente alla costruzione e modernizzazione del Paese» (ibid.). Già nella fase immediatamente post risorgimentale, in buon numero le donne partecipano al dibattito sulla necessità dell’istruzione femminile e sulla altrettanto cogente necessità di rimuovere gli ostacoli giuridici e culturali che impediscono una effettiva emancipazione. Come sottolinea Miniati, la consapevolezza del ruolo “sociale” della maternità, che identifica le donne quali educatrici dei futuri cittadini, impone il riconoscimento del diritto a una educazione superiore (p. 22). Articoli e interventi testimoniano un dibattito vivace, in cui emerge spesso la specificità del contributo che le donne ebree possono portare nel contesto nazionale. Cesira Levi, Erminia Diena, Nina Modona Olivetti collaborano a riviste quali La Donna, fondato dalla mazziniana Gualberta Alaide Beccari nel 1868, come anche Carolina Coen Luzzatto (poi direttrice del Corriere di Gorizia), Fanny Tedeschi (redattrice, a Trieste, di Libertà e Lavoro), Eugenia Pavia Gentilomo Fortis (poetessa e traduttrice), facendosi spesso portatrici di uno sguardo cosmopolita, grazie anche ai legami famigliari che le mettono in contatto con la cultura europea del tempo. La massiccia adesione, sul finire del secolo, delle donne ebree alle organizzazioni femministe emancipazioniste segnala un cammino costante e l’allargamento degli orizzonti entro cui declinare istruzione e educazione. In particolare, l’Unione Femminile, nata a Milano nel 1899 (alla cui fondazione partecipano, solo a titolo di esempio, Antonietta Pisa, Nina Rignano Sullam, Nina Ottolenghi Levi), dove alla «beneficenza rugiadosa» si sostituisce il «lavoro sociale utile al paese», rompe gli schemi sia dell’assistenza caritatevole, sia dei ruoli di genere che tradizionalmente vi si associano. L’ebraismo, portatore di una solidissima tradizione di assistenza «fondata non sulla carità bensì sul principio della giustizia (zedaquah)», postula un principio innovatore che riesce a scardinare le forme tradizionali dell’elemosina. Ad essa infatti si sostituisce l’idea «di fornire innanzitutto i mezzi per provvedere in modo autonomo alle proprie necessità» (p. 24), come del resto recita lo Statuto della Società Umanitaria, altra istituzione che, sin dal suo fondatore, è caratterizzata da una forte presenza di donne e uomini di origine ebraica. La modernità del nuovo approccio annuncia, per molti aspetti, la progressiva diffusione di diritti (al lavoro, alla salute, all’istruzione, alla casa), che diverranno i pilastri intorno ai quali si costruirà – nel corso del XX secolo – lo Stato sociale contemporaneo.
Non è naturalmente possibile nello spazio di una recensione ripercorrere le vite complesse e di grande interesse delle donne ricordate nei saggi del volume, ma è importante richiamarne i nomi con alcuni cenni, sottolineando sempre come la lettura restituisca la profondità e la bellezza delle loro biografie. Ecco quindi Aurelia Josz, fondatrice della Scuola Agraria per Fanciulle di Niguarda (ancora esistente e a lei dedicata) dove, alla necessità di saper operare in modo professionale nel contesto agricolo, si aggiunge la riflessione su una pedagogia del “fare”, meno teorica e in grado di sviluppare responsabilità e sicurezza di sé. Aurelia, come molte consorelle, partecipa attivamente alla riflessione pedagogica in corso in Europa tra i due secoli, anticipando modalità educative che ancora oggi mantengono intatto il loro valore. L’avvento del fascismo e il consolidarsi del regime le impediscono di continuare il suo lavoro e, dopo le leggi razziali, è costretta a interrompere ogni attività. Arrestata nell’aprile del 1944, dopo un passaggio a Fossoli, è condotta ad Auschwitz, dove viene uccisa il giorno dopo il suo arrivo. Sempre nell’ambito dell’insegnamento agrario si snoda il percorso di Olga Lombroso Fiorentino (lontana cugina di Cesare Lombroso), maestra alla Scuola agraria della Josz (lì indirizzata, probabilmente, da Alessandrina Ravizza e Ada Negri). Lavora poi alla Scuola Rinnovata Pizzigoni e alla Scuola del Sole del Parco Trotter, vere e proprie istituzioni del rinnovamento pedagogico milanese, oltre a collaborare per lungo tempo con la Società Umanitaria. Licenziata dal Trotter nel 1938 in quanto ebrea, insegna fino al 1943 alla Scuola ebraica di via Eupili per poi riparare in Svizzera. Dopo la guerra, riprenderà l’insegnamento sia al Trotter sia alla Scuola ebraica. In ambito educativo operano anche Paola Carrara Lombroso (la figlia “ribelle” di Cesare), educatrice, scrittrice per l’infanzia e ideatrice del Corriere dei Piccoli(ruolo mai riconosciutole formalmente dai fratelli Albertini, proprietari del Corriere della Sera) e Clara Archivolto Cavaliere, fondatrice delle “bibliotechine scolastiche” in Italia. E ancora Rina Melli, ferrarese, vicina al socialismo umanitario di Prampolini, sostenitrice e paladina dell’emancipazione e del riscatto sociale, militante agguerrita e indomita, che pubblica dal 1901 al 1903 il giornale Eva, precorrendo l’esperienza cui darà vita negli anni successivi Anna Kuliscioff con La Difesa delle Lavoratrici. Ed è proprio la Kuliscioff, Anja Rozenstein, nata in Crimea, «bella come una mente libera» (p. 139), ad essere l’emblema del socialismo femminista e della lotta per l’autodeterminazione femminile, il cui significato risiede senz’altro nella battaglia per il diritto di voto (avvia su questo tema cruciale una sana polemica casalinga con il suo compagno, Filippo Turati, molto tiepido sulla questione), ma anche nel garantire contestualmente la possibilità di studiare, di esercitare una professione, di disporre dei propri guadagni, di essere militante attiva e influente, di poter scegliere la propria dimensione affettiva e privata senza sottostare agli obblighi borghesi. Infine, proprio tra le donne di estrazione alto borghese appartenenti alle famiglie ebraiche più facoltose, spesso legate per via matrimoniale alle dinastie europee (sono di grandissimo interesse gli intrecci famigliari creati da una politica matrimoniale ancora fortemente endogamica, originando un cosmopolitismo senza pari), la militanza si esplicita in forme di filantropia in grado di assicurare formazione professionale e affrancamento dall’indigenza. La creazione di professionalità per le donne dei ceti popolari è una prassi consolidata per Virginia Mieli Nathan, Alice Hallgarten Franchetti, Isabella Goldschmidt Errera, Elisa Guastalla Ricci, che si fanno promotrici della conservazione e dello sviluppo della tradizione tessile italiana, ragionando e progettando sempre seguendo le modalità del “femminismo pratico”. Le pagine dedicate ad Amelia Rosselli nata Pincherle Moravia, riportano in primo piano l’esperienza intellettuale di Amelia. Scrittrice, autrice teatrale di grande successo sin dai primi anni del Novecento, il suo ruolo non si esaurisce in quello di mater dolorosa custode del martirio dei figli, ma si connota come intrinsecamente politico ed educativo. Radicalmente antifascista, avendo come “obiettivo” la realizzazione di libertà e giustizia, sia durante l’esilio negli Stati Uniti sia dopo il ritorno in patria, è protagonista di una costante azione politica e culturale, curando anche la pubblicazione degli scritti di Carlo e Nello, rensi così disponibili alla riflessione degli italiani.
Completano il volume due saggi che raccontano l’esperienza di Hannah Maisel, nata in Bielorussia, sionista, trasferitasi in Palestina nel 1909 e fondatrice della “Fattoria delle Fanciulle” sul lago di Tiberiade, con l’obiettivo di aiutare le donne a trovare un ruolo produttivo nel processo di sviluppo agricolo del sionismo, anch’esso pervaso di maschilismo. E di Ita Yellin e Yehudit Harari, le cui autobiografie offrono uno sguardo unico sul ruolo delle donne nello sviluppo di Israele. Ogni saggio è corredato da un’ampia bibliografia che, oltre a fornire l’apparato critico indispensabile, suggerisce una notevolissima quantità di letture e testimonia una grande ricchezza di studi. Nel contempo, appare chiaro quanto lavoro ci sia ancora da fare per riportare alla luce l’enorme contributo delle donne al processo di costruzione dello Stato liberale, soprattutto negli ambiti dell’educazione e dell’assistenza, quali portatrici di una idea di nazione moderna, in cui il progresso è inteso come strumento di miglioramento in grado di garantire dignità e benessere. Come non pensare, quindi, oltre alle protagoniste dei saggi qui richiamati, a Laura Orvieto (profondamente legata ad Amelia Rosselli, autrice di libri per l’infanzia, tra cui Storie della storia del mondo, ancora oggi regolarmente pubblicato), a Elena Raffalovich Comparetti (proveniente da una delle famiglie più ricche di Odessa, introduce la pedagogia froebeliana in Italia, bisnonna di Don Milani), alle tre sorelle Errera (Rosa, Anna, Emilia, scrittrici, insegnanti, intellettuali), a Lina Schwarz (poetessa, pedagogista, fondatrice con Lavinia Mondolfo della Scuola Steineriana milanese, autrice di libri e poesie per l’infanzia, tra cui una intramontabile filastrocca ancora oggi recitata e in calce al presente scritto*). L’elenco potrebbe continuare: tutte queste donne sono protagoniste di una ricchissima riflessione culturale che attraversa l’Italia e l’Europa e che ha come cardine la pedagogia, l’educazione, lo sviluppo armonico dell’individuo e del contesto sociale. Una ricchezza umana e culturale che il regime fascista tenterà di distruggere inutilmente, silenziandola per vent’anni.
*Stella stellina,
la notte s’avvicina
la fiamma traballa
la mucca è nella stalla
la mucca e il vitello
la pecora e l’agnello
la chioccia e il pulcino
ognuna ha il suo bambino
ognuno ha la sua mamma
tutti a far la nanna
Questo scritto è dedicato a Michela Murgia
di Paola Signorino