Manifesti culturali del femminismo italiano

Mostra ideata e organizzata da Archivia
A cura di Ilaria Scalmani e Loretta Bondì
Promossa da Fiap, Irsifar, Biblioteche di Roma, Casa della memoria e della storia
Patrocinata dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale

La mostra, inaugurata il 15 novembre e aperta alla Casa della memoria e della storia fino al 20 dicembre, documenta la ricchezza dell’esperienza culturale del movimento femminista italiano. I 34 manifesti storici esposti ci restituiscono tutta la creatività e il fervore di quei gruppi di donne impegnate nelle lotte come nella cultura, creative e capaci di comunicare attraverso nuove forme di linguaggio e di elaborazione artistica.

Archivia (Biblioteca/archivio specializzata in storia e cultura delle donne) ha conservato e rende ora visibile in questa mostra quel patrimonio del femminismo rimasto piuttosto in ombra. Spesso si ricordano le lotte, le manifestazioni, i collettivi, gli slogan ma poco si sa del lavoro e della produzione culturale del femminismo: una storia poco raccontata ma capace di restituirci la creatività e l’intelligenza di quelle “donne di idee”, come le ha definite Rosy Braidotti. Queste fonti, dunque, sono state a lungo sottovalutate, forse ritenute secondarie rispetto alla ricchezza e alla varietà dei collettivi, alla loro azione politica e a quella pratica femminista che aveva modificato profondamente i rapporti, le identità e la vita delle protagoniste di allora.

In realtà l’aspetto culturale era stato centrale fin dall’inizio del movimento, in una delle prime pubblicazioni si leggeva: «La cultura ci ha escluse, anche il linguaggio non ci esprime», una consapevolezza che apriva nuovi sguardi e nuovi orizzonti culturali. Del resto il sapere, nelle sue molteplici forme, era negli intenti del femminismo, come si può riscontare in alcune denominazioni dei collettivi romani di allora. Questi, oltre a intitolarsi con il nome della via dove era collocata la propria sede, spesso si differenziavano attraverso un riferimento culturale. Per esempio: Donne e cultura, Donne e psicanalisi, Donne e cinema, La Maddalena libri, l’Associazione culturale Zanzibar, Le donne dello Studio di via Ripetta. C’erano poi le riviste. Nel 1973 era nata la rivista Effe; due anni dopo DWF, (Donna, woman, femme), che aveva al centro l’attenzione verso gli women’s studies; nel 1976 Differenze, la gestita dai diversi collettivi romani. Usciva poi nel 1981 Memoria che, nel suo primo numero, così presentava il cambiamento apportato dal femminismo: «Avviamo questa rivista in un contesto che ha visto mutare notevolmente negli ultimi anni il rapporto tra le donne e la produzione culturale».

Vario e ricco era il panorama culturale, il Teatro della Maddalena con la libreria e le Edizioni delle donne. Nel 1975 nasceva la casa editrice La tartaruga, preziosa per la pubblicazione dei volumi di grandi scrittrici e di saggistica femminista. C’erano poi i Centri di documentazione, il Quotidiano Donna, le Librerie delle donne,che erano luoghi d’incontri e di elaborazione culturale. E ancora, tra gli altri, Radio Donna e la Galleria di via della Stelletta. L’arte per esempio, in particolare il barocco, era stata al centro di un numero di Differenze che, in una delle sue copertine, riproduceva l’estasi di Santa Teresa del Bernini e in un’altra uno spartito di Arnold Schönberg. Le due immagini erano significanti, indicavano il parallelo tra la rottura dell’equilibrio classico, operata dall’arte barocca così come dalla musica dodecafonica, e quella attuata dal femminismo rispetto alla mentalità e ai rapporti patriarcali.

La realtà dirompente di questo movimento non poteva essere ignorata dai mezzi di comunicazione, nasceva infatti su Rai 2 la trasmissione Si dice donna che, dal 1977 al 1981, affrontò temi di arte, cultura, libri, sempre dal punto di vista delle donne. La stessa sfida venne raccolta da Rai Radio 3 con la trasmissione Noi, voi, loro, donna, dal 1978 al 1983 e, sempre sulla stessa rete, Ora D fino al 1988. Molteplici e diverse, dunque, furono le esperienze culturali che fiorirono in quegli anni e che continuarono anche dopo la stagione del femminismo. Basti pensare alla Società delle storiche, nata nel 1989 con le sue “Scuole estive di formazione”, e la sua rivista Genesis, che si occupa della storia di genere in linea con le più recenti tendenze storiografiche.

Questo patrimonio del femminismo italiano rappresenta un’eredità importante, che ci restituisce tutta la determinazione delle donne nello sperimentare e nel trovare nuove forme di comunicazione culturale. Questa prospettiva ha avuto una spinta propulsiva anche dall’occupazione del Governo Vecchio a Roma nel 1976, per iniziativa del MLD (Movimento di liberazione della donna) e di alcuni collettivi femministi. In quello spazio nacque la Casa delle donne che, oltre ad ospitare diversi Collettivi, divenne una fucina di idee. Proprio in quel luogo venne fondato il Centro culturale Virginia Woolf, nato dall’esigenza di trovare uno spazio di progettualità e di studio per nuove forme di comunicazione culturale. Era il 1979 quando il movimento femminista, dopo tante lotte, iniziava a dare i primi segni di stanchezza. La domanda di fondo del Virginia Woolf era «Fino a che punto il sesso influisce sulla capacità conoscitiva»? Per dare risposta a questo interrogativo si proponeva un riattraversamento della cultura e di tutte le conoscenze finalizzato non a costruire una cultura al femminile, ma volto a modificare il rapporto delle donne con il sapere. Si ricercava quindi un riconoscimento del proprio valore e l’autonomia dal mondo maschile. Per realizzare questo progetto ambizioso occorreva costruire un luogo dove dare campo libero ai propri interessi conoscitivi. Questo luogo fu allora l’Università delle donne che, dal 1979 al 1996, organizzò corsi universitari veri e propri, seminari, convegni e rappresentò davvero una fucina di idee e di progetti.

La mostra Cultura manifesta ci parla oggi del fervore culturale di allora, dei diversi ambiti in cui le donne avevano impegnato la propria intelligenza e creatività. Quei manifesti ci raccontano di quanta fantasia comunicativa siano state capaci le donne alla ricerca di nuovi linguaggi e nuove forme espressive. Riguardarli oggi produce nostalgia per quella “stagione felice” del femminismo, ma al tempo stesso proietta, partendo dal passato, uno sguardo sul futuro capace di parlare alle giovani donne di oggi e di indicare una via per essere protagoniste creative e autonome di nuovi saperi.

Nell’immagine: 29 marzo 1980 – Manifestazione a conclusione della raccolta firme per la legge contro la violenza sessuale. Foto di Tano D’Amico.
Archivia: Fondo Noi Donne

di Annabella Gioia

 

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