Copenaghen, di Michael Frayn, è un’opera teatrale che vanta più di mille repliche. Dopo il debutto al Royal National Theatre di Londra nel 1999, lo spettacolo ha continuato il suo successo mondiale diventando un punto di riferimento nel racconto del dramma della nascita della bomba atomica. Proprio a Copenaghen, infatti, nel 1941 s’incontrarono i fisici Niels Bohr e Werner Heisenberg, che discussero del possibile devastante utilizzo della bomba, destinata in breve tempo a diventare una terribile arma di distruzione di massa. Un dramma etico e psicologico, un crescendo di tensione nei dialoghi fra i due scienziati e la moglie di Bohr, Marghrete, al cui ruolo, tutt’altro che marginale, è affidato il difficile compito di testimonianza puntuale fra presente e passato.
Anche in Italia lo spettacolo ha debuttato nel 1999 al Teatro San Giorgio di Udine. Ad interpretare la fortunata opera di Frayn, sono stati Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice, con la regia di Mauro Avogadro. Per l’allestimento di New York al Royale Theatre, nel 2000, lo spettacolo ebbe un grande successo rimanendo in programma per più di 300 repliche, aggiudicandosi inoltre il Tony Award per il miglior spettacolo.
Una trama tutto sommato semplice, si potrebbe dire, ma con un grandissimo impatto emotivo. Emergono il peso della responsabilità e la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un’invenzione cruciale per le sorti dell’umanità. Il drammaturgo britannico ha ricostruito con puntualità gli avvenimenti storici. Lo spettacolo teatrale rievoca domande di un passato che sembra ormai lontanissimo, ma che sono ancora nell’aria e negli scenari geopolitici attuali.
Cosa rappresentò l’incontro fra i due fisici, entrambi insigniti del premio Nobel? E cosa spinse Heisenberg, scienziato tedesco, ad intraprendere quel viaggio per incontrare il vecchio amico e collega danese, considerato nell’ambiente come “il padre della fisica” e di cui era stato assistente negli anni Venti, in una città all’epoca occupata dai nazisti? Una posizione, quella di Heisenberg, molto delicata. A capo del progetto di ricerca sull’atomica per Hitler, decise di incontrare il suo storico maestro in un momento di piena competizione fra scienziati e nazioni coinvolte nel conflitto. Cercava forse un confidente, qualcuno che potesse realmente capire il rischio che l’umanità stava correndo.
L’incontro e il dialogo fra i tre personaggi è un’occasione per ripercorrere la storia delle incredibili scoperte scientifiche riguardo all’atomo e alla fissione nucleare. Una testimonianza della commistione di vite private e professionali sconvolte dalla guerra, dagli amici deportati fino alle difficili conseguenze da fronteggiare per chi non volle aderire all’ideologia nazista. Furono molti gli scienziati costretti a collaborare alla causa bellica, come spesso avviene per i ricercatori influenti obbligati dai regimi dittatoriali a lavorare a progetti militari.
Copenaghen è uno spettacolo che vale ancora oggi la pena di andare a vedere, per entrare nel vivo della storia, guidati dalla forza di una rappresentazione teatrale che ha una missione chiara: testimoniare e raccontare ciò che è necessario ricordare. Il lavoro di Frayn è stato apprezzato da molti storici, sia per la meticolosa ricostruzione del passato, sia per la capacità di trasporre le implicazioni personali degli scienziati sul piano collettivo, raccontando il dramma della scelta, le restrizioni e tutte le pesanti ritorsioni che hanno vissuto i protagonisti della Resistenza. Un’opposizione, quella al regime nazista, che si è manifestata in tanti modi, coinvolgendo una generazione profondamente segnata dall’uso della bomba atomica.
di Alessandro Calisti