Celebriamo questo 25 aprile il settantasettesimo Anniversario della Liberazione dell’Italia, dell’Europa, dal nazifascismo, con la conquista delle perdute Libertà attraverso la Resistenza.

La Resistenza è stato un gigantesco fenomeno di disobbedienza civile in nome di ideali superiori come libertà, eguaglianza, giustizia, fratellanza dei popoli.
Le bande partigiane furono “un microcosmo di democrazia diretta”, in senso esistenziale, di autocoscienza, permettendo a una intera generazione di affacciarsi alla politica, scavando nel proprio io, facendo riferimento alle proprie scelte, affermando la personale scelta partigiana di ciascuno quale fondamento di una rigenerazione collettiva da realizzare attraverso istituzioni rifondate dal basso.
Secondo risorgimento e lotta patriottica, fu qualcosa di più grande del  CLN e dei partiti che la guidarono, perché’  fu soprattutto la moltitudine delle vite concrete dei resistenti, di quanti interpretarono l’8 settembre 1943, morte  della patria, ma anche inizio di un cammino impervio per ritrovarla, come la fine di una stagione di carestia morale e di avvelenamento delle coscienze, vivendola come il momento in cui finalmente non ci si doveva vergognare di se stessi e si potevano riscattare vent’ anni di passività e ignavia.
Una scelta che, nel suo significato etico di rifiuto dell’orrore e della sopraffazione, incombe su ciascuno ancor ora.

Facendo del 25 aprile una data fondamentale, nel senso letterale di fondamento della nostra religione civile.
Festa di tutti gli italiani senza alcuna distinzione.
Oggi, grazie a quella pagina scritta sulle montagne e nelle nostre città, e in Europa, abbiamo ancora il privilegio di scegliere e di poterlo fare nella libertà, conquistato con le armi e generosamente condiviso con i nemici della libertà, fascisti e repubblichini, portatori di dottrine infami.

Una scelta, per conservare quel privilegio, necessaria, in quanto imparziale e definitiva.
Grazie a quella scelta, il popolo italiano fece la sua prima grande esperienza di sovranità il 2 e il 3 giugno 1946, quando le italiane e gli italiani adulti votarono per decidere con un referendum tra monarchia e repubblica e nello stesso tempo elessero i deputati dell’Assemblea costituente con sistema proporzionale, scegliendo tra candidati di ogni orientamento politico, ideologico o religioso

La Resistenza va considerata sotto tre aspetti diversi: europeo, nazionale, universale.
Come fenomeno europeo, la Resistenza è stata un moto di liberazione nazionale contro il nazismo: in quanto tale non differisce da quella di altri paesi.
Come fenomeno italiano, la guerra contro il nazismo è stata insieme una lotta di liberazione dalla dittatura fascista in nome dei “diritti inviolabili” – così li chiama la nostra costituzione – dell’uomo.

Ma la Resistenza ha avuto anche un significato universale: in quanto guerra popolare, spontanea, non comandata dall’alto, essa è stata un grande moto di emancipazione umana, che mirava molto più lontano e i cui effetti, proprio per questo, non sono ancora finiti: a una società internazionale più giusta, ispirata agli ideali di pace e di fraternità tra i popoli.
Chi legga le Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea, da cui parlano, nell’estremo saluto alla vita, operai e sacerdoti, intellettuali e contadini, comunisti, socialisti, cattolici, liberali, azionisti, si accorge che esse sono animate da un comune sentire.
Non soltanto del coraggio di fronte alla morte che nasce dal sentimento della dignità dell’uomo come valore assoluto al di là e al di sopra della morte, che fa dire al comunista Julius Fucik queste parole:

“Credetemi, nulla, proprio nulla di ciò che è successo ha potuto togliermi la gioia che è in me e che ogni giorno si annuncia con qualche motivo di Beethoven.”

L’uomo non diventa più piccolo anche se viene accorciato della testa “a un giovane sacerdote cattolico tedesco, Hermann Lange, decapitato per cospirazione antinazista:

“Se mi chiedete come mi sento, posso soltanto rispondervi: sono serenamente commosso e pieno di una grande attesa. Con oggi ha termine per me ogni sofferenza, ogni miseria terrena e «Dio detergerà ogni lacrima dai loro occhi». […] Ovunque ci si guardi attorno, ovunque troviamo giubilo per la grazia di essere figli di Dio. Cosa mai può capitare a un figlio di Dio? Cosa avrei da temere? Al contrario: rallegratevi. Ancora vi ripeto: rallegratevi!”.

Da quelle lettere si sprigiona un inno grandioso e solenne alla speranza degli uomini. Un giovane francese, assassinato a 21 anni, scrive:

“Presto il duro inverno, presto anche la bella estate; io riderò della morte perché non morirò, non mi uccideranno, mi faranno vivere eternamente: il mio nome risuonerà dopo la morte non come un rintocco funebre, ma come un volo di speranza”.

Riprendendo da una delle pagine di un romanzo del partigiano Italo Calvino le parole del suo partigiano Kim, il «furore» della guerra civile coinvolgeva entrambi gli schieramenti, ma “da noi, dai partigiani, niente va perduto, nessun gesto, nessun sparo, pure uguale a loro, va perduto. Tutto servirà, se non a liberare noi, a liberare i nostri figli, a costruire una umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi”. Queste parole sono come l’inizio di un canto corale che sarà ripetuto da mille altri fino alla Libertà.

Tre, scrisse Bobbio, sono gli ideali supremi che vengono espressi da questo commovente coro dei partigiani di tutta Europa: il ritorno ad una vita operosa in uno stato di pace dopo i duri anni di una guerra devastatrice, la restaurazione delle principali libertà civili, per cui l’uomo acquista il diritto di essere riconosciuto come persona, e l’attuazione di una maggiore giustizia sociale contro ogni forma di privilegio.
L’ideale della pace, in un anno come questo che vede il mondo sconvolto e minacciato da grandi e incombenti pericoli per la pace che richiamano la necessità di una grande mobilitazione contro ogni guerra.

Un partigiano ucraino scrive: “La guerra è la più grande sciagura dell’umanità. Speriamo che dopo questa guerra venga una pace che renda possibile per molto tempo, e forse per sempre, la felicità. Congedandomi da voi, mi auguro di vedere la pace e una vita felice”].
L’ideale della libertà. Un partigiano italiano scrive: “La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà”.

L’ideale della giustizia.

Una partigiana montenegrina scrive: “Con le nostre ossa e i nostri cadaveri edifichiamo un nuovo mondo, nel quale gli uomini vivranno da eguali e avranno tutti i diritti”

Ma non possiamo, in questo 25 aprile, non rivolgerci al popolo ucraino, vittima di una illegale guerra di aggressione, che ha violato clamorosamente lo statuto dell’Onu e il diritto internazionale, facendo precipitare il mondo nell’angoscia.
La ferma condanna dell’aggressione militare scatenata senza alcuna giustificazione dalla Russia tirannicamente governata da Putin è per una Associazione come la nostra, fondata da Ferruccio Parri negli anni della guerra fredda, resistente della prima ora e primo Presidente del Consiglio dell’Italia liberata, imperativo etico e civile assoluto.

É Resistenza anche quella di Kiev, contro l’invasore che intende negare la liberta’ del popolo ucraino.
In questa enorme e assurda realtà della guerra che continuamente smentisce il diritto, occorre non gettare la spugna rifiutando un determinismo storico per cui e’la guerra stessa che giustifica i propri crimini e si autoassolve
Occorre declinare la ragione del diritto, prima che la compassione del mondo per le vittime dei tanti crimini si esaurisca, distinguendo, come insegnava Norberto Bobbio, tra i fondatori della Fiap, fra ‘violenza prima’ e ‘violenza seconda’, fra chi usa per primo la forza militare e chi si difende. Chi usa la forza per primo è il prepotente e chi esercita la forza per secondo è il più debole costretto a difendersi: e le due posizioni non possono essere messe giuridicamente e moralmente sullo stesso piano. È il classico tema dell’aggressione e della resistenza all’aggressione.

Se non introduciamo criteri di valutazione giuridica e morale dell’uso della forza militare si rischia di dare sempre ragione al prepotente.

Dedichiamo questo 25 aprile alla memoria di chi 77 anni fa in tutta Europa ha perso la vita per riconquistare la libertà contro la tirannide militarista e imperialista del tempo e oggi  al popolo ucraino che sta resistendo eroicamente alla superpotenza che ha invaso il suo paese. Lo dedichiamo alle vittime civili di una barbarie che non rispetta alcuna regola internazionale, alcun codice d’onore.
Sappia l’esempio dei partigiani europei farci ritrovare la strada per un mondo piu’ giusto e per la pace e fratellanza tra i popoli dai resistenti europei agognata, bandendo la guerra dalla storia dell’UOMO.

di Antonio Caputo, Vicepresidente F.I.A.P.

 

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