Nel 1960 uscì un celebre film, Tutti a casa, con la regia di Luigi Comencini. Si fa fatica a immaginare un modo più preciso per restituire l’atmosfera di confusione, d’incertezza e di scoramento che attraversò l’esercito italiano dopo che, alle 19.45 dell’8 settembre 1943, Badoglio rese noto l’armistizio con gli Alleati, firmato cinque giorni prima a Cassibile, in provincia di Siracusa. Il nuovo Capo del Governo (dopo la defenestrazione di Mussolini successiva alla seduta del Gran consiglio del fascismo del precedente 25 luglio), dalla radio e con voce non proprio stentorea, prima ordinò la cessazione di «ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane», poi dichiarò in modo quasi surreale che le forze italiane avrebbero dovuto reagire «a eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza». Una disposizione che, com’era logico che fosse, non fu capita e che portò al rapido sbandamento delle truppe italiane di fronte alla già avvenuta occupazione di buona parte dell’Italia centro-settentrionale realizzata dalle truppe tedesche. All’alba del 9 settembre, dunque poche ore dopo l’annuncio, Badoglio e il re Vittorio Emanuele III si diressero a Pescara da Roma (che non poté essere adeguatamente difesa, nonostante a Porta San Paolo e in altri quartieri esercito e popolazione si fossero opposti ai tedeschi) e, da lì, a Brindisi dove, sotto la protezione degli Alleati, nacque il Regno del Sud. Le espressioni di Alberto Sordi, il sottotenente Alberto Innocenzi, che cerca di capire cosa fare e che, al rientro da un’esercitazione con il proprio reggimento, trova la caserma distrutta mentre i tedeschi gli sparano addosso, ci dicono tutto su quella tragica pagina di storia. Anche quel che avviene nei giorni successivi è centrale per capire cosa divenne l’Italia dopo l’8 settembre. Innocenzi, il cui padre è interpretato da Eduardo De Filippo, con un unico soldato al seguito (Assunto Ceccarelli impersonato da Serge Reggiani), lasciata Roma si dirige verso Napoli, dove viene arrestato dai tedeschi. Qui, dopo una rocambolesca fuga e dopo aver abbracciato negli ultimi attimi di vita proprio il fidato Ceccarelli, Innocenzi troverà il coraggio di riprendere definitivamente le armi e di combattere per la libertà, entrando a far parte della Resistenza nel momento in cui scoppiava l’insurrezione di Napoli (27-30 settembre). Dunque l’8 settembre 1943, indipendentemente dalla volontà di Badoglio e di Vittorio Emanuele III, consentì a centinaia di migliaia di civili e militari italiani – di fronte al vuoto di sovranità e all’occupazione tedesca che aprì le porte alla fase più terribile del conflitto in ampie zone del paese – di declinare in modo nuovo e più cosciente il concetto di patria (certificando la morte di quella fascista) e di ridare dignità all’Italia che, da oltre vent’anni, l’aveva perduta. Badoglio e Vittorio Emanuele III non riuscirono nell’impresa di Alberto Innocenzi: con la vita non salvarono la dignità. La storia, considerando le scelte compiute e gli inaccettabili comportamenti assunti nei decenni precedenti, dentro e fuori dai confini nazionali (per esempio in Africa), con loro fu molto clemente.
di Andrea Ricciardi