Scriveva Ernesto Rossi alla moglie Ada, dal carcere, il 10 aprile 1939 a proposito delle pace:
Tu mi domandi se credo nella possibilità avvenire della pace perpetua. Non ci credo, per la conoscenza che ho della natura umana. Questo, però, non significa che non si possa e non si debba lavorare per la pace […]. La vita collettiva, come quella individuale, è, in tutti i suoi aspetti, una continua costruzione, che va continuamente difesa contro l’influenza di agenti dissolutori e riparata dai guasti da essi compiuti. E lavorare per la pace significa, nel campo delle lettere, combattere lo sciovinismo, la tracotanza e l’esclusivismo nazionalista, propagandando i valori spirituali dell’umanesimo come fondamento della nostra civiltà; nel campo più propriamente politico significa specialmente imporre il controllo sui bilanci militari e sulla politica estera […], e federare gli stati così diretti in unioni sempre più salde per scoraggiare da ogni proposito d’espansione militare i paesi retti a regime dispotico che altrimenti avrebbero interesse ad aumentare continuamente con la guerra la loro forza e il loro prestigio.
In difesa del programma federalista, da Ginevra dove si trovava con la moglie Ada, il 12 febbraio 1945 Rossi scriveva a Salvemini:
Non sono affatto d’accordo con te per la Federazione Europea. […] Noi non possiamo lasciare che si occupino di questo argomento i vincitori. Tutte le soluzioni dei nostri particolari problemi nazionali sono ormai in funzione di quel che sarà il futuro assetto internazionale. Né libertà, né socialismo, né democrazia, né rieducazione politica, né ripresa economica saranno possibili col ritorno ai 25 stati e staterelli assolutamente sovrani, con zone d’influenza delle grandi potenze, con la «balance of power», i patti bilaterali, ecc. ecc. […] Hai perfettamente ragione quando dici che la nostra voce è svuotata per il fatto che apparteniamo ad uno stato aggressore, vinto. Ma non dobbiamo accettare l’eredità dello stato fascista cercando di salvare il salvabile dal fallimento. Dobbiamo parlare non come italiani, ma come europei che hanno combattuto Mussolini quando gli uomini più rappresentativi dei diversi paesi democratici fornicavano col fascismo, e dobbiamo appellarci non ai governi ma alle correnti progressiste popolari.
Le lettere da cui sono tratte le citazioni sono in Ernesto Rossi, Abolire la guerra. Idee e proposte su guerra, pace, federalismo e unità europea, a cura di Antonella Braga, Nardini Editore, Firenze 2020, pp. 152-153 e 250-251. Nel volume, prefato da Mimmo Franzinelli e arricchito da un lungo saggio introduttivo di Antonella Braga (pp. 13-81), si trovano brani di lettere e scritti di Rossi compresi tra il 1915 e il 1966.