Quando il feretro di Enzo Biagi uscì dalla chiesetta dove si era appena concluso il rito funebre, i non più tanti compagni di lotta che, con lui, avevano condiviso rischi e sofferenze, intonarono “Bella ciao”. L’ineguagliabile maestro di giornalismo era stato, infatti, protagonista come tanti altri giovani, senza nulla chiedere e senza nulla pretendere, della lotta armata partigiana contro i fascisti e i tedeschi che avevano occupato il suolo nazionale. La sua vicenda resistenziale è raccolta in un volume postumo, I quattordici mesicon sottotitolo la mia resistenza, a cura di Loris Mazzetti, regista e giornalista. “È la storia – scrive Biagi – della Brigata “Giustizia e Libertà”, di cento ragazzi e un capitano che tornarono soldati, perché bisognava far così. Non avevano caserma né rancio, né armi né scarpe, ma a loro bastava un pezzo di pane. Dormivano tra gli abeti e i fucili andavano a cercarseli”.

È la storia di quattordici mesi di Enzo Biagi e di una Brigata di “cento ragazzi” che operava tra Gaggio Montano e Castel D’Aiano, sull’Appennino bolognese, ma è anche la storia di un coraggioso capo partigiano tarantino, Pietro Pandiani (Taranto 11 febbraio 1915 – Merano 6 novembre 1972) che i suoi uomini chiamavano affettuosamente e con deferenza “Capitan Pietro”. Militare di carriera, aveva frequentato l’Accademia soprattutto per seguire le tradizioni famigliari: suo nonno aveva partecipato alle gloriose “Cinque giornate” di Milano. Nel 1936 era stato inviato in Spagna, dove aveva combattuto accanto alle truppe falangiste del generale Franco e, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, era stato destinato a partire per la Libia dove era rimasto ferito nel corso di una cruenta battaglia.

Al suo rientro in Italia, nel 1943, si stabilisce a Bologna per assistere suo fratello Bernardo, anch’egli rimasto ferito in Africa Settentrionale e, per questo, ricoverato alla Rizzoli. Per guadagnarsi da vivere svolge l’attività di ragioniere. Nella città emiliana, in seguito agli avvenimenti dell’8 settembre – anche per l’influenza del professor Oscar Scaglietti, antifascista, che ha in cura il fratello – Pietro matura la convinzione di un impegno personale nella lotta per la riconquista della libertà, entrando in contatto con i partigiani di “Giustizia e Libertà”, assumendo successivamente il comando della brigata azionista “GL Montagna”.

Scrive ancora Biagi: “Il Capitan Pietro (“captain Peter”, dicevano gli americani, “mon capitain”, diceva Napoleon – Jacques Lapeyrie, un partigiano francese aggregato alla brigata, in seguito fucilato dai tedeschi aCastelluccio, n.d.r.) sapeva far la guerra e non la temeva, insegnò ai suoi ragazzi come si adoperavano il mitra e il mortaio, come si va all’attacco e come si fa a non aver paura, perché paura non si doveva averne mai. In tanti dobbiamo a lui la vita”. Pietro Pandiani ha ventinove anni quando assume il comando della brigata. È un uomo schivo, che “teneva le distanze con tutti”, ricorda ancora Biagi, un uomo “alto e robusto”che “parlava poco e adagio con accento meridionale”. Nella sua formazione dei “cento ragazzi” ci sono, anche, il fratello Bernardo, professore di liceo, nome di battaglia Nando, vice comandante della brigata che sarà decorato con la Medaglia d’Argento al valor militare, e la sorella Laura, appena ventenne.

Posizionata in una zona strategica, perché al centro della linea di ritirata dell’esercito tedesco incalzato dalle forze alleate, la brigata è sistematicamente impegnata in aspri scontri con le truppe nazi-fasciste. Nell’ottobre 1944, capitan Pietro guida la brigata nelle battaglie che, con l’apporto delle formazioni partigiane “Matteotti Montagna” capeggiata da Antonio Giuriolo (Toni, caduto in combattimento il 12 dicembre del 1944 dopo aver conquistato la piazzaforte nazifascista di Corona, Medaglia d’Oro al valor militare) e della 7^ Brigata “Modena” della Divisione “Armando”, portano brillantemente alla liberazione dell’Alta Valle del Reno, dopo cruenti scontri attorno a Gaggio Montano e a Monte Belvedere, dove la resistenza delle truppe tedesche e repubblichine è sopraffatta.

Il 21 aprile 1945 Pietro Pandiani entra in Bologna alla testa dei suoi ragazzi, tra l’entusiasmo della popolazione. Anche a lui sarà conferita la Medaglia d’Argento al valor militare. Affidiamo le conclusioni alle parole commosse e sentite di Enzo Biagi: 

Tra quelli che hanno segnato la mia vita, tra i più indelebili, c’è il capitano Pietro; per noi giovani uomini di “Giustizia e Libertà” è stato non solo uno straordinario comandante, ma anche un esempio di rigore, di pulizia, di modestia. Voleva proteggerci, e non solo dai pericoli della guerra, ma anche dagli equivoci della politica, dalle furbizie delle piccole strategie, dai compromessi disinvolti. Ha vissuto con rara coerenza: quando tutti, o quasi, hanno avuto l’occasione di ottenere qualche beneficio, lui non ha chiesto nulla. Non èstato un reducedi professione”. Non ha fatto carriera. Non ha cercato né gli hanno dato un buon posto. Lo ha conservato, però, nel cuore dei suoi vecchi ragazzi, e il tempo, e i fatti che ci assalgono, rendono più acuto il rimpianto.

di Mario Gianfrate

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