Nella storia c’è stato almeno un altro tragico 11 settembre, oltre a quello del 2001. Infatti, lo stesso giorno del 1973, mezzo secolo fa, il generale Augusto Pinochet realizzò un colpo di Stato in Cile dove, dal 1970, il socialista Salvador Allende stava presiedendo un governo di coalizione. Il nuovo esecutivo aveva rappresentato un’autentica svolta per il paese ed era nato, in modo certamente sofferto per via delle pressioni delle forze reazionarie, in seguito alla celebrazione di regolari elezioni democratiche. Pinochet, allora, era il capo dell’esercito (promosso in quel ruolo dallo stesso Allende) e, dopo l’attacco al Palazzo della Moneda (la sede della presidenza), che fu bombardato dall’aviazione, e la morte dello stesso Allende (si parlò di suicidio ma per molti fu assassinato), scatenò con i suoi sodali una terrificante repressione. Questa si abbatté sui sostenitori dell’esecutivo e, in modo particolare, sui giovani militanti delle forze di sinistra coalizzate in Unidad Popular. Lo stadio nazionale di Santiago diventò un centro di detenzione a cielo aperto, fu quello l’inizio di una serie impressionante di torture, omicidi e pestaggi di Stato, realizzati cioè dalle forze dell’ordine, dai servizi di sicurezza e dall’esercito (evocato dalle destre, sempre più spaventate dalla novità, fin dal 1970) nel nome del «ristabilimento» dell’ordine. Ordine che, in realtà, era stato minato dagli stessi golpisti e che, quindi, secondo la loro agghiacciante idea di paese, corrispondeva all’instaurazione di una dittatura militare sanguinaria. Il golpe, infatti, si tradusse immediatamente nella cancellazione di ogni diritto fondamentale per chi era “marchiato” da un’appartenenza politico-culturale (cioè la sinistra, intesa in primis come l’insieme dei partiti operai) oppure per chi, più semplicemente, considerava la libertà come base per lo sviluppo della società cilena, tra cui non pochi cattolici e liberali. In diciassette anni di regime (si tornò a votare nel 1990, Pinochet morì nel 2006 senza aver pronunciato una sola parola per le vittime delle sue scelte scellerate) furono assassinate o scomparvero nel nulla migliaia di persone e, nonostante un sofferto e lento cambiamento culminato nella vittoria del trentacinquenne Gabriel Boric, candidato di una coalizione progressista nelle ultime elezioni del 2022, quella lunga parentesi buia pesa ancora. Infatti, negli ultimi decenni, non sono certo spariti i sostenitori della dittatura e la destra cilena non ha smesso di guardare con nostalgia a quel tipo di “ordine” garantito da Pinochet. In questa sede non è possibile approfondire il periodo in cui Allende governò, è sufficiente ricordare che sia la sua politica interna sia quella estera (che lo portò verso un avvicinamento alla Cuba di Fidel Castro) tesero a intaccare interessi ampiamente consolidati e furono subito fonte di preoccupazione per l’amministrazione statunitense di Richard Nixon, che di certo non poteva accettare che in Sud America qualcuno cercasse di costruire il socialismo in modo pacifico. Ma la figura chiave per capire come si mossero gli Stati Uniti fu quella di Henry Kissinger, segretario di Stato tanto intelligente quanto ambiguo, capace di accrescere le tensioni interne al Cile anche attraverso manovre occulte che resero sempre più instabile la società, con il risultato di creare serissimi problemi nella gestione dell’ordine pubblico. Prima Kissinger contribuì a provocare un grande sciopero dei camionisti, una corporazione tradizionalmente forte, che paralizzò il paese; poi mise a punto una vera e propria strategia finalizzata a favorire il golpe. Il quadro di governo, prima del fatidico 11 settembre, in realtà si era già indebolito anche grazie ai forti contrasti emersi tra l’anima di centro della coalizione e le forze più radicali, d’ispirazione socialista e comunista. Queste forze, in linea con le priorità manifestate dallo stesso Allende, volevano nazionalizzare settori chiave dell’industria, come quello del rame. Questa condotta avrebbe messo in crisi i consolidati interessi delle potenti multinazionali straniere, statunitensi in particolare. Un programma di “rottura” dei tradizionali equilibri, finalizzato a porre fine al rapporto di sfruttamento del continente da parte degli Stati Uniti, figlio di una rivisitazione della dottrina Monroe del 1823 che, durante la Guerra fredda, assunse i contorni di un controllo ancor più diretto dell’America centro-meridionale. Fu la CIA (su questo non ci sono dubbi grazie al grande avanzamento della storiografia basata sui documenti) a giocare un ruolo decisivo nel paese, prima e dopo l’11 settembre 1973, considerato che proprio i servizi segreti statunitensi furono al centro di una terrificante tela tessuta tra i vari regimi militari del Sud America (Argentina, Paraguay, Brasile, Bolivia, Cile e Uruguay), che ebbe nell’operazione Condor, iniziata concretamente nel novembre del 1975, il suo fulcro. Si trattò di organizzare, almeno fino al 1983, la repressione e la sparizione di oppositori politici, prima incarcerati e spesso torturati, attraverso i cosiddetti “voli della morte”. I detenuti, cioè, venivano lanciati nell’oceano, spesso ancora vivi e talvolta sedati, dagli aerei militari con la benedizione della CIA e sparivano senza lasciare traccia. Ecco la fine di molti desaparecidos, la cui esistenza fu a lungo negata in primo luogo dai militari argentini attivi durante la dittatura di Videla.  

Certamente Radio Magallanes sarà messa a tacere e il timbro tranquillo della mia voce non vi giungerà. Non importa. Continuerete a sentirlo. Sarà sempre accanto a voi. Almeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno, che fu leale alla lealtà dei lavoratori.

Risuonano ancora nella mente di molti le ultima parole di Allende, pronunciate alla radio poco prima di morire, che ancor oggi non solo ci riportano al sacrificio di un leader politico coraggioso e di migliaia di suoi connazionali, vittime della terribile repressione attuata, ma anche alla necessità di ricordare che l’estrema destra (in ogni continente) mai ha avuto alcun rapporto con la democrazia e con la salvaguardia delle libertà fondamentali e dei diritti umani. Giova ricordare che, di fronte al golpe, la nostra ambasciata si mobilitò riuscendo a salvare più di 700 cileni che si erano rifugiati al suo interno. Ma è opportuno non dimenticare anche che le giunte militari al potere nei paesi del Sud America, in Italia, furono apprezzate non soltanto dalla destra eversiva protagonista della strategia della tensione ma anche dai dirigenti e dai militanti dell’MSI, sempre vicini alle pulsioni violente e ai regimi più o meno fascisti, anche in Grecia e nella penisola iberica. L’MSI fu l’unica forza politica che, in Parlamento, durante il dibattito del successivo 26 settembre, non si espresse contro il golpe. Quella fiamma che ricorda la violenza di Stato di stampo fascista, incompatibile con la democrazia, in qualche modo brucia ancora.   

di Andrea Ricciardi 

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